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28 mag 2014

Lungo il Ru

di Luciano Caveri

Quando vado a fare due passi, uno dei posti più vicini è una strada poderale che costeggia un antico "ru", un canale irriguo - oggi in versione moderna - che rinfresca larga parte della passeggiata. Nella parte in cui il cui corso d'acqua artificiale corre scoperto (parte è intubato in corrispondenza con zone franose), a chi lo veda con una certa continuità risultano evidentii periodi in cui la portata d'acqua è buona o scarsa. Quest'anno, con acqua abbondante, non posso non ricordare il mio cagnone, Max, golden retriever amante dell'acqua, che si immergeva nel canale e ci stava come un subacqueo in apnea. Per i non valdostani ricordo che i rus sono quei canali, presenti in tutta la Valle, che servono a portare acqua per le colture nelle zone più secche, specie nei versanti del cosiddetto "adret", cioè la parte al sole della vallata principale. Furono costruiti fra il XIII e il XVI secolo, un periodo climatico "caldo" e in cui cresceva la necessità di acqua per un mondo agricolo che campava in un'economia di autosussistenza. Il "Ru d'Arlaz" dovrebbe risalire alla seconda metà del XIV secolo e inizia il suo percorso a Ponthey nel Comune di Brusson in Val d'Ayas e si sviluppa per una quindicina di chilometri, scollinando verso la vallata principale proprio nel paesino di Arlaz, da cui il nome, a vantaggio delle campagne di Verrès, Emarèse e appunto di Saint-Vincent, dove finisce. Il tema dell'acqua, quando presentai al "Comitato delle Regioni" un rapporto sul cambiamento climatico e il suo impatto sulle Alpi, è risultato uno dei più delicati per il futuro di questo vasto massiccio di montagne. Ricordo cosa scriveva l'organizzazione internazionale per la protezione delle Alpi: "Secondo i dati dell'Agenzia europea per l'ambiente (EEA, 2009) e del Segretariato permanente della "Convenzione delle Alpi" (2009), la regione alpina ha visto un aumento di temperatura di +2° C nel ventesimo secolo, più del doppio di quello dell'emisfero settentrionale e due volte la media europea. Un ulteriore aumento di 2.6° - 3.9° C e atteso entro la fine del corrente secolo, nuovamente di molto superiore rispetto all'andamento previsto su scala continentale. Unitamente a variazioni nell'andamento stagionale delle temperature, i modelli previsionali ipotizzano una diminuzione delle precipitazioni totali ed un'accresciuta frequenza di eventi eccezionali (periodi di siccità, alluvioni, ecc.). Durante questo secolo, l'impatto dei cambiamenti climatici sull'idrologia alpina sarà notevole: si prevede una diminuzione delle precipitazioni variabile tra l'1 e l'11 per cento, mentre i periodi siccitosi estivi (almeno cinque giorni consecutivi senza precipitazioni) aumenteranno del 36 per cento, con incrementi relativamente superiori nelle Alpi settentrionali, attualmente meno interessate dal fenomeno. Le precipitazioni nevose subiranno un drastico ridimensionamento: del 40 per cento nei versanti settentrionali e del 70 per cento in quelli meridionali. Secondo Beniston (2006) la combinazione di temperature più alte e variazioni nella distribuzione stagionale delle precipitazioni determinerà conseguenze molto accentuate sulle portate dei corsi d'acqua. Una minor quantità di neve associata a maggiori piogge durante l'inverno determinerà un consistente aumento delle portate invernali (fino al 19 per cento) e una corrispondente diminuzione di quelle primaverili (meno 17 per cento) e soprattutto estive (le previsioni parlano di una riduzione del 55 per cento nelle Alpi centrali e meridionali entro il 2100)". Ma i sorvegliati speciali restano i ghiacciai e su questo così si legge: "Nel breve periodo questi cambiamenti possono essere compensati dallo scioglimento dei ghiacciai e del permafrost. Nel lungo periodo vi è invece preoccupazione per la persistenza di queste fondamentali riserve d'acqua. I ghiacciai hanno perso il 20 - 30 per cento del loro volume dal 1980; i picchi di temperatura della sola annata 2003 hanno causato una diminuzione del 10 per cento nella loro massa. Secondo Haeberli (2009) la superficie dei ghiacciai potrebbe ridursi entro il 2050 di una quota variabile tra il 50 ed il 75 per cento". Bisogna prepararsi per tempo, anche in Valle d'Aosta, uscendo da politiche di breve respiro e dalle impressioni soggettive, perché o si definiscono le reazioni alle condizioni nuove che si verificheranno o saranno guai per le generazioni future.