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31 gen 2014

Aspettando la Foire

di Luciano Caveri

Ne scrivo prima, perché devo elaborare il lutto. Quest'anno, credo dopo almeno trentacinque anni, non sarò alla "Foire de Saint-Ours". Il 30 e il 31 gennaio - ma ricordo che il Santo si festeggia il 1° febbraio - sarò molto distante, ma non potrò non pensare a questa due giorni. La Fiera l'ho vista in lungo in largo, sopra e sotto (specie le cantine) e resta la più grande festa popolare della Valle d'Aosta. Per i rari che leggeranno queste righe senza saperne nulla, direi: si tratta di un'enorme fiera dell'artigianato tradizionale valdostano, esempio particolare di un filone che deriva da strumenti del mondo agricolo e pezzi d'artigianato (talvolta tramutati in arte) in legno, pietra, ferro e altri materiali. Si mangia, si beve e si canta, perché d'inverno fa freddo... Fin qui l'involucro, poi si può penetrare più in profondità. Il gigantismo attuale è abbastanza recente e in fondo la Fiera è cresciuta al ritmo del suo successo e poche decine di espositori sono diventati centinaia e centinaia. Chi decidesse di percorrerla, scoprirà come si snodi nel centro storico di Aosta, specie nel cuore della città e, nel complesso, si trova di tutto un po' in una logica da grande sagra. Ma le graduatorie dei premi sono il termometro dei "pezzi" più belli e dunque degli autori più bravi. Nel giudicare la Foire ci sono, en gros, due scuole di pensiero. La prima è quella dei liberisti, che ritengo in sostanza che le regole devono essere leggere leggere e questo comporta il gigantismo attuale e un discostarsi marcato da elementi tradizionali. A chi obietta si osservano diverse cose: la prima è che la tradizione si evolve e la seconda è che un politico astuto non rompe troppo le scatole, perché regolamenti stringenti piacciono a pochi e spiacciono a tanti. Vi è poi il mondo dei puristi, che vagheggiano un mondo ormai scomparso, ma forse felice, in cui un'élite dispiegava le sue forze in un contesto raccolto e familiare. Sono quelli che, con il machete, vorrebbero fissare norme più stringenti per avere più qualità che quantità. Denunciano a spada tratta come certo modernismo finisca per travolgere e stravolgere alcune certezze. Io mi colloco - e non democristianamente, che pure ormai è un avverbio di gran moda con un incredibile effetto simpatia - fra i due opposti estremismi. Chi mira al sodo: "crescere, crescere, crescere" dovrebbe guardarsi dagli eccessi del liberismo e, d'altra parte, chi predica forme di protezionismo dovrebbe ricordarsi che, a tenere viva la concorrenza, scende in campo l'innovazione. Ma quest'anno, come dicevo, non sarò della partita e avrò dei fatti un'eco distante, avvicinando all'orecchio una conchiglia.