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23 gen 2014

Le contraddizioni del numero chiuso

di Luciano Caveri

Fra le tante stupidaggini dell'Italia di oggi, spicca la questione del numero chiuso per l'accesso all'Università, che ormai - per l'incrociarsi di diversi meccanismi - interessa quasi il sessanta per cento delle Facoltà e riguarda, di fatto, i principali corsi di laurea. L'aspetto grottesco, che cozza con queste restrizioni, è che il numero dei laureati in Italia resta fra i più bassi nell'Unione europea. In più ci sono professioni - pensiamo ai medici o agli ingegneri elettronici - che avrebbero bisogno di avere più laureati. In una realtà come quella valdostana, inoltre, il blocco attuale impedisce a molti giovani locali di "coprire" posti di lavoro futuri a casa propria, obbligando alcuni a lasciare la loro vera vocazione e trovando, in alternativa, o una Facoltà "aperta" o iscrivendosi per forza a più test d'ingresso e dunque finendo per entrare da qualche parte più per causalità che per scelta. E le prove di accesso sono un azzardo come la roulette, fatte come sono di domande più o meno ridicole, che nulla hanno a che fare con la reale determinazione - ammesso e non concesso che ciò si debba fare - di un livello che dimostri di essere portati davvero per una certa Facoltà. Guardavo i quiz, l'altro giorno, e sono rimasto esterrefatto: roba da gioco televisivo o da "Settimana Enigmistica". Oltretutto - e temo che qualche scandalo scoppierà - sento una gran puzza di bruciato, quando penso ai rischi corruttivi per ottenere un "aiutino", visto il clima che si respira in certe Università e i troppi occhi che vedono le prove, prima del giorno in cui si svolgono. Si aggiunge il fatto che è stata tolta la premialità prevista per un buon voto alla Maturità, per la semplice ragione che esiste un abisso fra Nord e Sud sui voti dati: si corregge la stortura, ma si appiattisce tutto. Che soluzione brillante! Si dice, però, devono entrare solo i "meritevoli". Ma chi merita deve dimostrarlo e non certo con "quizzoni", ma con la possibilità - con gli esami dati - di meritare di restare. Per cui non avrei alcun dubbio su "filtri" che evitino agli studenti di finire "fuori corso" e espellano chi non lo merita. Così come riterrei anche possibile, come un tempo, che determinati diplomi non consentissero un accesso universale e automatico a qualunque Facoltà. Ma, si dice ancora, il numero chiuso evita, in tempi di magra, costi derivanti da affollamenti eccessivi. Sono altri i risparmi possibili. Ad esempio mandiamo in pensione all'età giusta i professori universitari e riduciamo gli stipendi di chi (e sono tanti!) è presente all'Università come se lì svolgesse un secondo lavoro rispetto ad un primo lavoro svolto altrove. Insomma, come dicevo, si creino semmai ragionevoli sbarramenti durante gli studi per chi fa il furbo, ma il primo anno deve consentire a tutti di avere una chance da giocare. E poi, aggiungiamolo chiaramente, se c'è un settore su cui non bisogna risparmiare è in generale quello dello studio. Ma trionfano altre logiche.