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14 gen 2014

La saggezza digitale

di Luciano Caveri

Scrivevo, giorni fa, di come il mio status, rispetto alla rivoluzione digitale in corso, sia quello – secondo gli esperti – di "immigrato", tradotto ovviamente dall'espressione in inglese "digital immigrant". In sostanza sono uno che ha approcciato - per ovvie ragioni d'età - le tecnologie digitali solo in età adulta e oggi le padroneggio più o meno bene, a seconda dei contesti. Nel 2001 fu uno scrittore statunitense, Marc Prensky, esperto di queste cose, a creare questa famosa metafora, che distingue fra nativi e immigrati digitali. Ritornò poi, una decina di anni dopo, su nuovi orizzonti del problema e dunque sulla necessità di fare riferimento ad altri concetti per leggere la continua evoluzione del rapporto fra l'uomo e le tecnologie digitali. In un suo articolo venne, infatti, introdotto il concetto di "digital wisdom" (saggezza digitale), una qualità dell’uomo che può emergere grazie al potenziamento che le naturali capacità umane ricevono dall'utilizzazione appropriata e creativa delle tecnologie digitali. Questo nuovo "Homo sapiens digitale" assomiglia, in sostanza, a ​quella specie di guerriero del futuro, chiuso in un esoscheletro che lo trasforma fisicamente in una specie di supereroe, ma la differenza è che la grande massa di dati che è a sua disposizione migliora mentalmente le sue decisioni. Leggo un passaggio dell’autore: «I saggi digitali distinguono fra la saggezza digitale e la semplice destrezza digitale, e fanno del loro meglio per sradicare la stupidità digitale. Essi sanno che il semplice sapere come usare una tecnologia non rende più saggi di quanto non lo faccia il semplice saper leggere le parole. Saggezza digitale non significa agilità nel manipolare la tecnologia, bensì capacità di prendere decisioni più sagge in quanto potenziate dalla tecnologia». In fondo avere un bagaglio di una società, per così dire, "analogica", permette di usare con cautela i grandi vantaggi del digitale e di quelli che sono chiamati "propulsori di saggezza". Questo porta a dire che su questi temi bisogna riflettere in una realtà piccola come la Valle d'Aosta, ideale per essere un'"area test". Capisco che c'è chi può essere più interessato (in senso buono e cattivo, a seconda) ai lavori fisici che comporta, ad esempio, la creazione delle reti a fibre ottiche e quanto consente di avere quel segnale che permette di avere una connessione di qualità, senza tribolare con reti penose fornite dalle società telefoniche o saltare da un wi-fi all'altro, dove si trovano. Ma, senza sottostimarne il ruolo, bisogna che sin da ora si ragioni sui contenuti da veicolare, perché sarebbe folle avere Reti più o meno sofisticate senza poi mettere dentro quanto serve alla popolazione nelle sue diverse fasce di età e di attività economica. Quando guardiamo al passato, siamo sempre colpiti da quella peculiarità valdostana delle scuole di villaggio, antidoto contro quell'analfabetismo che altrove faceva disastri. Oggi potremmo essere innovativi, senza costi folli. Ma bisogna pensarci per tempo e con un approccio democratico, perché la società dell'informazione non vive sulla Luna, specie se molti decisori non sono... saggi.