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13 dic 2013

Messaggi dal passato

di Luciano Caveri

Ho sempre avuto un rapporto di collaborazione con il "Savt - Syndicat autonome travailleurs valdôtains", di cui ho seguito anche alla fine degli anni Ottanta il riconoscimento giuridico, con norma di attuazione dello Statuto (articolo 6 del Decreto legislativo 28 dicembre 1989, numero 430), ma poi l'applicazione è stata osteggiata, periodicamente, da qualche apparato dello Stato. Aggiungo che, per amicizia, ho prestato per anni la mia firma come direttore responsabile del loro giornale. Ora il sindacato valdostano ha pubblicato il secondo numero di un quaderno di approfondimenti, riportante in questa occasione delle riflessioni sul federalismo. Nel testo viene riportata la copia anastatica di una piccola pubblicazione del 1954 di mio zio Séverin Caveri, allora 46enne e leader indiscusso dell'Union Valdôtaine. All'epoca, senza radio, televisione e social media venivano editati questi libriccini per diffondere i discorsi pronunciati. In questo caso. si trattava di un intervento pronunciato in occasione della Festa del Lavoro e pieno di riferimenti all'incandescente vita politica di quegli anni, che vedeva protagonisti di elevato livello di una politica che, in parte, non era ossessionata dalla ricerca del consenso elettorale, considerava l'onestà personale un valore e godeva di un bagaglio culturale invidiabile. Qualche passaggio torna da quel passato con una freschezza utile per la situazione attuale. Penso alla discussione sul ruolo delle Assemblee elettive, oggi vituperate nel nome del "solista", laddove il mio rimpianto zio scriveva: «Bisogna fare in modo che la democrazia politica sia sempre più irrobustita, bisogna rafforzare sempre più gli organi della volontà popolare: il Parlamento, i Consigli Regionali, i Consigli comunali. Bisogna che questa democrazia politica non sia soltanto un "décor de théâtre", uno scenario, non sia soltanto un nome vano, una forma, bisogna che sia sempre più concreta, sempre più efficace, sempre più positiva». Poi, in un altro passaggio Séverin esamina i problemi dell'azienda siderurgica "Cogne" e fa venire i brividi per certe assonanze con la situazione odierna e la stesso vale per la crisi dell'agricoltura. Ammoniva Caveri: «Nous ne voulons pas que les travailleurs valdôtains doivent reprendre leurs baluchons et traverser la frontière, à la recherche d'un morceau de pain, nous voulons qu'il trouvent leur pain, une vie digne et libre dans leur pays, dans leur Vallée». Oggi, per chi ha un curriculum di studi particolarmente valido, questa emigrazione, non per scelta ma per necessità, rischia di diventare la regola. Si alternano nell'intervento richiami concreti ai problemi amministrativi, forti polemiche politiche, ma anche lo spessore culturale, profondo e competente, di chi - e questo è un bel distinguo in politica - non ha bisogno di "spin doctor" (chi cura l'immagine e la comunicazione di un personaggio pubblico) o di "ghost writer" (chi scrive interventi o articoli per conto di un'altra persona). E' interessante concludere con un richiamo alla democrazia comunale, oggi minacciata da chi in Valle - nel nome di quella stessa logica di tagli che fa gridare contro Roma! - vorrebbe profittare della circostanza per ridurre ad una dozzina i Comuni della Valle, mantenendo gli altri - senza poteri - solo come lapidi alla memoria di un cimitero. Séverin Caveri affermava: «Se sia accetta che il nostro popolo sia capace di governarsi da sé, non si può dissentire da tutti i vecchi scrittori, di cento anni or sono ed anche più oltre, che vedevano nel governo dell'ente locale la grande scuola di democrazia, la formazione della classe politica, la via per trarre il popolo ad appassionarsi della cosa pubblica, cominciando a guardare a ciò che seguiva alla porta di casa per guardare sempre più lontano». Anche questo è spirito federalista. Peccato che Séverin sia stato dimenticato ingiustamente, pur essendo stato un protagonista e una pietra angolare della storia dell'autonomia.