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02 dic 2013

Rosa, rosae, rosae...

di Luciano Caveri

«Rosa rosæ rosæ ma com'è difficile il latino chi mi aiuta a fare la lezione di prima declinazione? Io! Io! Io! Io! Io! Io!». Chissà chi ricorda "I ragazzi di padre Tobia", cui si riferiscono le strofe della canzoncina, la serie televisiva italiana in onda, tra il 1968 e il 1973, nello spazio televisivo della "Tv dei ragazzi". Le vecchie canzoni sono indelebili nella memoria e quelle delle sigle televisive sono in prima fila. I protagonisti di quegli episodi erano un prete anticonformista, padre Tobia, il suo sacrestano un po' fesso, Giacinto, e il gruppo dei ragazzi della parrocchia. Ma quel che conta è quanto il motivo mi rievochi gli stessi anni in cui, allora era già nel programma alle Medie, cominciai a studiare il latino. Ricordo anche come, nella mia infanzia, ci fossero ancora le messe in latino, che erano state normali fino alla riforma liturgica promulgata da Paolo VI nel 1969. Il latino erano state anzitutto le lezioni della severa e legnosa professoressa Maghetti, nelle scuole di Verrès e poi, a seguire, i vari professori del Liceo Classico, dal Ginnasio alla Maturità, dove uscì la emutissima prova scritta di greco. Che dire del latino? Che, a conti fatti e malgrado i patimenti, specie sulle versioni, questo benedetto latino è servito. Non solo per la solita banalizzazione degli studi classici e specie della solita storia delle traduzioni "che ti fanno ragionare", a dispetto delle lingue morte, quanto perché le nostre lingue - e nel caso valdostano sono tutte: italiano, francese e francoprovenzale - sono da considerarsi neolatine e dunque le radici sono principalmente nel latino. Ma poi a motivazione ulteriore c'è proprio la profondità del latino e della sua storia, pure riassumibile - nella sua utilità presente - nella serie infinita e ancora vivente di motti e detti, che mostrano la straordinaria stratificazione e anche come l'umanità nei millenni e nei secoli abbia mantenuto uno zoccolo duro nei propri comportamenti. Sono abbastanza vecchio da avere avuto, come l'onda che si esaurisce sulla battigia, a che fare con le ultime propaggini del "latinorum" della Goliardia, fenomeno ormai quasi sconosciuto, ma che segnava un tempo la formazione dei giovani universitari. Era un uso scherzoso e maccheronico, che mostrava però un'affezione di chi, dovendolo studiare, sul latino sapeva pure scherzarci. Oggi, quando vedo i miei ragazzi più grandi impegnati nelle versioni, confesso una qualche curiosità. Così, mentre per il greco sono ormai in piena "nebbia in Val Padana", per il latino qualche sprazzo di comprensione c'è ancora. Anche in questo caso sono vecchie nozioni che tornano in mente, accomunate ai "momenti magici" della scuola, quando - fra mille emozioni e fremiti - non vedevi l'ora di spiccare il volo. «Nihil est magnum somnianti» (Niente è straordinario a coloro che sognano) Marco Tullio Cicerone. Oggi come allora.