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28 nov 2013

La memoria

di Luciano Caveri

Io non so bene come funzioni la memoria e cioè quella facoltà di catturare parte del proprio passato per richiamarlo nel presente. L'esercizio è comunque sempre affascinante. Immagino che in questi 1300-1400 grammi del nostro cervello ci siano parti, opportunamente riservate, che imprigionino pezzi della nostra vita. Certo con il tempo il suo uso cambia: ricordo mio papà ottantenne che era un orologio svizzero su certe parti molti distanti della sua esistenza e si inceppava nella quotidianità, come se esistesse uno scrigno più resistente, che ci salva dalla distruzione almeno una parte di questi nostri "pensieri congelati". Non so gli altri, ma come funzioni esatta mente (questo è un refuso, ma sembra fatto apposta!) la mia testa non l’ho ancora capito. Ho ricordi vivissimi e altri oscurati, spuntano per un nonnulla o spariscono inghiottiti dal vuoto, sono evocati da un particolare o invece non tornano a galla neanche spremendosi le meningi. Mi capita - non essendo fisionomista - di fare delle brutte figure inenarrabili non riconoscendo le persone e invece, avendo un naso imponente, un odore può evocarmi un mondo d'improvviso. Ci sono luoghi in cui immagino dei déjà vu, ma poi scopro dei fatti reali, oppure delle volte mi faccio portare in braccio da delle certezze su avvenimenti trascorsi e scopro, invece, che ad insinuarsi è stato solo il frutto della mia fantasia. Invidio quelli che ricordano particolari remotissimi. Capita nelle feste dei coscritti, che sono quelli che conosci dai tempi delle scuole nel proprio paese, di avere dei veri e propri fenomeni che ricordano particolari minuti dell'infanzia in comune, che sono come dei camei che spuntano dal tempo che fu. Oppure ci sono quelli che ricordano dei particolari - che so del giornalismo e della politica - che mi riguardano direttamente e spesso faccio buon viso a cattivo gioco. Ogni tanto mi chiedono come mai ho scritto molte cose quotidiane. L'ho fatto perché trovo che, a parte il solito noto "verba volant, scripta manent", esiste per fortuna nella scelta di mettere nero su bianco i propri pensieri la possibilità, ex post, non solo di ritrovare i fatti o i pensieri narrati, ma anche di seguire un percorso che - come i pezzettini di mollica di Pollicino - ti consenta di ritrovare quadri e scenari irrimediabilmente perduti. E lo stesso vale - nelle diverse patologie originate dalla diffusione degli smartphone - per le fotografie digitali, che non abbisognando più del traffico dello sviluppo, e sono oggi un ancora di salvataggio per memoria e anche una sorta di catena a cui attaccarsi per ritrovare in seguito persone ed episodi di vita vissuta. Ma forse, alla fine, la capacità selettiva, che ci fa trovare e perdere tante cose, senza un ordine apparente, è racchiusa in poche parole di Laurent Laplante, giornalista québécois: «La mémoire, une faculté qui choisit».