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20 nov 2013

Quel tamarro di Zalone

di Luciano Caveri

Il grande e arguto scrittore e regista torinese, Mario Soldati, diceva: "Il denaro, e il lavoro: nei casi migliori, l'arte: ecco che cosa troverete in fondo alla società cinematografica. Null'altro". Ci pensavo, dopo aver visto al cinema il film "Sole a catinelle" di Checco Zalone, nome d'arte di Luca Medici. il terzo film del divertente comico pugliese, che è stato, all'inizio della sua carriera, un cabarettista televisivo di successo. Si tratta di un film che sta avendo un enorme esito di pubblico, testimoniato dalle molte risate in sala, durante la proiezione. La storia è semplice: un venditore di aspirapolveri in bolletta, separato dalla moglie operaia in una fabbrica in crisi, promette al figlio una vacanza estiva, nel caso di un suo successo scolastico. Questo giunge e il papà, senza soldi, lo porta in un paesino del Molise da una vecchia zia. La vacanza disastrosa svolta in una vacanza da VIP all'italiana per il casuale incontro con una giovane miliardaria. Il finale è a lieto fine, sempre sul filo evidente del paradosso tinto di realismo, con la famiglia che si riconcilia. Perché tutto questo successo? Il personaggio è simpatico, le battute sono ad effetto, l'uso della parolaccia e della parodia misurato, le canzoni che fanno da commento simpatiche e da tormentone. In più la confezione del film non è buttata lì grazie ad un budget costoso, che sta rientrando con gli incassi, assicurando notevoli guadagni. Ma direi che c'è qualcosa di fondo, che stimola: esiste una spensieratezza ricorrente e una leggerezza, che finiscono per essere la chiave del successo in un periodo difficile e grigio come l'attuale. Siamo nel filone della commedia all'italiana, che riesce - oggi come nei decenni passati - ad intercettare lo stato d'animo del pubblico e oggi c'è voglia di evasione e i riferimenti all'attualità devono essere lievi e non troppo incisivi (il contrario, insomma, di Antonio Albanese). Può darsi, infatti, che il film, se analizzato, non sia nulla di trascendentale, ma sarebbe da stupidi non cogliere come finisca per testimoniare, meglio di molte altre cose, il desiderio segreto che ne ha fatto un fenomeno di pubblico. Ed è la voglia di normalità. In un periodo in cui siamo afflitti da timori e preoccupazioni, crisi e tracolli, previsioni nere e rischi immanenti c'è voglia di poter sorridere e ridere. Non in una logica di evasione inconcludente, ma perché anche nel divertimento senza troppi pensieri, c'è una delle necessità della vita quotidiana. Provo con un altro esempio. Guardo ogni tanto i contenitori televisivi del pomeriggio, che sono ormai imbottiti di cronaca nera. Una certa filosofia della televisione segue ormai un filone dell'orrido, nella convinzione che questo "tiri", specie in orari in cui ormai ci sono solo telespettatori anziani. E' un gorgo senza fine che verrà un giorno spezzato dagli stessi telespettatori, che manderanno a casa autori e conduttori, trasformarti in cercatori di storie brutte, in una ripetizione infinita e noiosa alla ricerca spasmodica del particolare macabro o spaventoso. Per cui, senza "se" e senza "ma", sto dalla parte di Zalone, cognome inventato che deriva dal barese "cozzalone", che somiglia a "tamarro", e della sua maschera di imbranato gaffeur, che fa - in un misto fra Alberto Sordi e Carlo Verdone, mentre il riferimento ad Homer Simpson fatto da Michele Serra non mi convince - la caricatura del mondo che viviamo, risultando più efficace di chi gioca con "delitti e castighi".