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17 nov 2013

I fondi strutturali sulla graticola

di Luciano Caveri

La storia dei "fondi strutturali" dell''Unione europea può avere diverse chiavi di lettura, a seconda del proprio punto di osservazione e del proprio background. Io ho seguito per parecchio tempo i fondi, occupandomene nei ruoli avuti , il più importante dei quali è stato quello di presidente della Commissione del Parlamento europeo che si occupa proprio della "politica regionale". Se vogliamo fare una storia in pillole, risalendo molto indietro, è nel "Trattato di Roma" del 1957 che si scrive già qualcosa, che resta di fatto inespresso per molto tempo: "la Comunità mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni". Se, infatti, qualche passo viene compiuto negli anni Settanta, è a partire dalla fine degli anni Ottanta che prende vigore la politica di coesione su spinta in particolare del presidente della Commissione Jacques Delors. Infatti è solo nel 1986, con l'Atto Unico europeo, che la coesione economica e sociale diviene espressamente un obiettivo prioritario della Comunità, per essere, infine, riconosciuta come politica europea dal "Trattato di Maastricht" del 1992. Si evolve sino ad oggi con ulteriori miglioramenti, come la nozione di coesione territoriale, fruttuosa per le zone di montagna, finalmente citate nei Trattati e considero il fatto come uno dei passaggi più importanti del mio lavoro in politica. Politica regionale che si è rafforzata negli anni e ha "sdoganato" le Regioni come partner dell'Europa, più nella concretezza di programmi e progetti che nella base giuridica dei Trattati, che ruota ancora attorno agli Stati nazionali. In Italia si manifestano purtroppo anche oggi tentazioni centralistiche del tutto sbagliate. La Valle d'Aosta ha goduto nel tempo di cospicui finanziamenti e anche nel periodo 2014-2020 le risorse dovrebbero risultare importanti. Ma lo sono, di questi tempi, per una ragione in più: il riparto fiscale soffre di una riduzione di risorse per varie ragioni, specie per il venir meno dei fondi compensativi che erano stati dati per la fine dell'Iva dei "Tir" che sdoganavano in Valle. A causa del sedicente "federalismo fiscale" abbiamo perso denaro e abbiamo difficoltà di impiegare quello che abbiamo per i meccanismi nella rigidità della spesa, legati al famoso "Patto di stabilità". Morale: mentre in passato i soldi di provenienza comunitaria impattavano su di una Regione già capiente - e dunque questo denaro era relativo rispetto al Bilancio regionale - oggi quei soldi sono una manna dal cielo in epoca di austerità. E qui, come si dice, casca l'asino. Mentre in passato la Valle d'Aosta si era dimostrata virtuosa, oggi si soffre di evidenti problemi. Il più eclatante riguarda i rischi di perdita di fondi nel "Fondo sociale europeo - Fse", che riguardano i delicati settori del lavoro, in un momento gramo per l'occupazione. Ora si dice che potremmo farcela a non perderli, come se si trattasse di una gran cosa. Ma perché questo è avvenuto? Di chi le reponsabilità? Perché oggi si è costretti a una rincorsa e a progettualità improvvisate? Queste regole europee che sovrintendono i fondi non piacciono a tutti, perché costringono e obbligano a essere attenti e disciplinati e non permettono di spendere con facilità. Ma la macchina deve funzionare. Un solo esempio attuale: la difformità nei controlli di primo e secondo livello sui progetti, come sanno bene gli enti di formazione che rischiano il tracollo Va aggiunto che il complesso dei fondi comunitari ha subito spesso, nel periodo di programmazione in corso, cambi di direzione repentini negli impegni per l'umoralità della politica, con scelte di spesa discutibili. Esemplare l'acquisto dei treni bimodali, che rischia di risultare la ciliegina sulla torta esemplare dell'ondeggiamento. Per il nuovo periodo di programmazione, aspettando chiarezza sulle disponibilità, regnano vive incertezze sui contenuti delle scelte strategiche della Regione. Ritengo che non ci sia stata in Valle una concertazione approfondita con i diversi attori interessati, tranne incontri formali e senza reale sostanza, perché tanto decide qualcuno da solo. Questo significa che, anche in questo caso, esistono atteggiamenti di facciata, di un europeismo di bandiera, cui corrisponde purtroppo una mancanza di strategia politica e di reale conoscenza dei meccanismi e senza interlocuzione politica a Bruxelles, dove vivacchia un ufficio regionale privo ormai di un ruolo. Peccato per tutto questo, perché un tempo eravamo considerati virtuosi, capaci e innovatori, ora non più.