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31 ott 2013

Salassi e Romani

di Luciano Caveri

Ho trovato divertente il giochino, in Consiglio Valle, fra chi si sente "Salasso" e chi "Romano". Mi sono permesso - con rispetto, naturalmente - anche un "tweet" scherzoso sul fatto che il presidente, di nome Augusto, si senta... "Salasso". Praticamente un ossimoro. Noto, fra parentesi, che il prossimo anno saranno i duemila anni dalla morte proprio dell'ideatore di Aosta, Cesare Augusto, sterminatore dei Salassi: giubilo per i "salassiani", lutto per i "romanisti". Non è una cosa nuova questa diatriba, ma torna ogni tanto in superficie. Fin che si scherza, penso che si possa stare al gioco, specie se somiglia allo scontro al Carnevale di Pont-Saint-Martin fra le due fazioni, rese caricaturali e dunque innocue. Se ci sposta da questo piano, si entra su di un terreno molto scivoloso. Ricordo la carica antiromana del deputato francese di origine valdostana, Parfait Jans, nel reclamare a gran voce un ricordo del genocidio del popolo dei Salassi. Un suo passaggio: "En l'an 25 Av.J.C. sur ordre d'Auguste, le général Térencius Varro Muréna lance la guerre d'extermination contre le peuple salasse. Feu et sang! En quatre jours (ce sont les scribes et historiens de l'époque qui l'écrivent) on comptent trente six mille morts ou vendus sur le marché d'esclaves d'Eporedia et huit mille jeunes salasses enrôlés de force dans les légions romaines. Tel est le sort subi par nos ancêtres, tel est le bilan de l'occupation romaine. Tel a été l'odieux comportement des Romains dans notre région. Il faut dire qu'ils avaient déjà vaincu tous les peuples des autres vallées alpines. Les Salasses étaient les derniers à résister ce qui devait accroître encore la colère des occupants". Naturalmente noi abbiamo, come fonte documentale, solo la versione dei vincitori, vale a dire dei Romani. Così come possiamo solo immaginare come negli anni successivi si sia imposta la loro presenza con la decisione di diventare stanziali, occupanti e colonizzatori, attraverso la nascita di quella che è oggi Aosta, come spiegato in un sito sulla storia romana: "Augusto fondò qui una città, le diede il suo nome e vi inviò tremila soldati delle corti pretoriane, da cui il nome "Augusta Praetoria Salassorum". I romani costruirono qui una cittadella fortificata, che garantisse il transito nelle vie consolari che collegavano l'alta Italia con l'Europa nord occidentale. Aosta infatti raccoglie e sintetizza le migliori esperienze architettoniche della Roma imperiale. La sua pianta rettangolare, ha i lati di 724 x 572 metri con l'asse maggiore parallelo all'andamento della valle, nell'ansa che precede la confluenza del torrente Buthier con la Dora". E i Salassi, già essi stessi probabilmente invasori rispetto ai popoli precedenti, che fine fecero? Qui, al di là degli ideologismi e di una lettura deterministica e talvolta infantile dell'autonomia attuale, veniamo al nodo del problema. Il fatto semplice è che i valdostani di oggi, già prima di contare sulle immigrazioni dell'ultimo secolo e mezzo, come quella piemontese, veneta, calabrese e oggi di persone che giungono da Paesi distanti, sono il risultato di un misto di vari pezzi d'umanità, che hanno formato le caratteristiche - sempre in movimento - di quello che chiamiamo oggi il popolo valdostano. Il fatto che l'identità sia composta, come in un puzzle, da tanti diversi tasselli - per cui ognuno di noi può dire di sentirsi un pezzo di Salasso e un altro pezzo di Romano, senza contraddizione - è in fondo elemento di forza e non di debolezza.