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17 set 2013

I nodi al pettine al Casinò di Saint-Vincent

di Luciano Caveri

Già prima delle elezioni regionali non ci voleva molto per capire che il Casinò di Saint-Vincent stesse agonizzando. Solo il presidente Augusto Rollandin indossava - non a caso - la mimetica per dire in Consiglio che il rancio era ottimo e abbondante e che il tramonto evidente era, invece, il sol dell'avvenire. Chi diceva il contrario veniva bollato come disfattista: eravamo, a Saint-Vincent, i migliori sul campo di battaglia delle case da gioco italiane, almeno così diceva con quei toni e sguardi che non consentono repliche. Ma la verità era diversa: il flop economico era già chiaro, le prospettive di sviluppo fumose, perché basate su occupazioni alberghiere paganti inesistenti e su chimere, genere l'arrivo risolutore di frotte di cinesi ricchi e spendaccioni. Bravo chi ci crede e lo stesso vale per la piega che prenderà il "Convention bureau" per la convegnistica, il cui unico scopo pare quello di piazzare qualche noto/a. Negli altri Casinò già si tagliava il costo del lavoro con accordi sindacali (prima a Campione e poi a Sanremo), mentre Venezia viaggia verso la privatizzazione e dunque i tagli si spostano nel tempo. Da noi a chi diceva, come me, che i tagli del personale bollivano in pentola si replicava - in termini ufficiali assai rudi - che ero un visionario o persino un mentitore. Aspetto le scuse, che mai arriveranno, perché vorrebbe dire che avevo ragione. Io non godo affatto che queste riduzioni possano avvenire, ma chi si è bevuto un sacco di panzane se l'è cercata e ora cadrà - in una logica da purghe staliniane - qualche testa dei capri espiatori da sacrificare sull'altare del giochino: eliminiamo qualche colpevole e si riottiene una verginità. Come se a manovrare tutto non fosse Palazzo regionale e il management del Casinò godesse di qualche reale autonomia, anche nell'avventurosa chiusura del bilancio. Forse questa presunta autonomia varrà per qualche aspetto progettuale, nel regno del cartongesso, con opere dubbie dal punto di vista funzionale e architettonico. Lavori e soprattutto cantieri che richiedono, dopo i soldini della "Cva" con il noto prestito che chissà mai quando verrà restituito, pure un cospicuo mutuo suppletivo. Investire sugli immobili è giusto, ma quel che conta è e resta il gioco su cui non si capiscono strategie vere, se non quella di mandare a casa una serie di "vecchi" a vantaggio di contratti da fame, a chiamata, per personale sempre più precario e con casi di figli di amici elettori... Un degrado che richiederebbe uno sforzo di tutti per salvare il salvabile, ma nessuno ha pensato di avvertire il Consiglio Valle - l'azionista unico, non solo il socio, come lo chiama l'imperturbabile amministratore unico - prima che uscissero le notizie di tagli sui giornali. Ma la speranza è quella di mettere, come per molte altre cose, il silenziatore, confidando sulla credulità popolare. I nodi arrivano al pettine e c'è chi - non essendo una "Cassandra" - lo aveva detto.