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14 ago 2013

Fra Ponzio Pilato e i "chissà!"

di Luciano Caveri

Romano Prodi, qualche settimana fa, in una conferenza in un'Università, aveva detto: «Ponzio Pilato è diventato il modello della nostra vita collettiva. Io sono un ciclista e fino a vent'anni fa sulle fontane c'era scritto "Acqua potabile" o "Acqua non potabile". Oggi invece trovo scritto "acqua non sottoposta a controlli" e questo è il simbolo di una struttura collettiva che non ha nemmeno più il coraggio di dire se l'acqua è pulita». Sono testimone: l'altro giorno, in un fontanile qui in Valle, durante una passeggiata, mi sono trovato di fronte a quella scritta ipocrita, che in sostanza suona come una specie di «fatti tuoi!», che ha fatto invocare a Prodi la figura di Ponzio Pilato. Il solo personaggio - per il suo ruolo nella morte di Gesù - che viene nominato nella professione di fede dei cattolici (il "Credo"): "Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto". Ricordo, per inciso, come a Ponzio Pilato sia collegata una singolare tradizione nel paese di Nus (dal latino "nonus", perché situato a nove miglia romane da Augusta Prætoria), dove viene chiamata "castello di Pilato" la costruzione che oggi è uno scarno rudere al centro del borgo. Secondo la leggenda, il castello avrebbe ospitato la celebrità, fermatasi lungo la strada verso l'esilio nelle Gallie - dove si dice morì suicida - all'epoca dell'imperatore Caligola. non esiste nessuna fonte credibile sulla fondatezza dell'episodio, ma chissà che non ci sia una briciola di verità. A Ponzio Pilato è stato Papa Ratzinger, in un suo libro recente, a dedicare una ventina di pagine, che tratteggiano i molti aspetti complessi derivanti dal Nuovo Testamento. Così sintetizza in un passaggio: «L'immagine di Pilato nei Vangeli ci mostra il prefetto romano molto realisticamente come un uomo che sapeva intervenire in modo brutale, se questo gli sembrava opportuno per l’ordine pubblico. Ma egli sapeva anche che Roma doveva il suo dominio sul mondo non da ultimo alla tolleranza di fronte a divinità straniere e alla forza pacificatrice del diritto romano». È chiaro che Prodi ha usato il riferimento al senso popolare e dunque al celebre e piuttosto rozzo "lavarsene le mani", ma un passaggio successivo non lascia dubbi e fotografa la situazione italiana, quando segnala come oggi ci si trovi di fronte «a un sistema politico così pieno di regole che nessuno si sente più in grado di prendere le decisioni». In verità penso che si debba aggiungere che non è solo la complessità delle regole ad incidere, ma anche le crescenti contraddizioni di una paralisi derivante dal comitato disposto di un Governo che deve durare, perché senza una riforma elettorale le elezioni potrebbero riproporre un Parlamento senza maggioranza, cui si somma - in senso peggiorativo - la maggioranza ora al governo, che è composta da nemici giurati, che coabitano nel nome della stabilità, quasi santificata. Per cui non viviamo in un'epoca in cui si possano dire con nettezza le cose e sembra prevalere una parola manifesto dell'incertezza: «chissà!».