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11 ago 2013

Non stupirsi di razzisti e xenofobi

di Luciano Caveri

Una premessa è d'obbligo: quando ero bambino, nella biblioteca di famiglia, c'erano una serie di volumi del 1941 di una sorta di enciclopedia edita dalla "Utet" di Torino e curata da Renato Biasutti, dal titolo "Le Razze e i Popoli della Terra". Un libro bellissimo, con tanto di foto, certo frutto della sua epoca e di un etnocentrismo occidentale, che mi consentiva, però, di girare il mondo stando seduto alla scrivania di mio papà. Oltretutto alcune foto di nudi mi turbavano non poco da ragazzino, in un'epoca in cui vigeva ancora le pruderie e le ballerine in televisione indossavano i mutandoni. La mia educazione ha sempre avuto una caratteristica libertaria e cosmopolita, per cui mai ho pensato che questa storia delle razze superiori o inferiori valesse un bottone bucato. E, ben prima degli studi universitari con maestri come il prof valdostano di Storia dell'Africa Giuseppe Morosini, i razzisti mi sono sempre stati sulle scatole. Scherzare si può sempre, ma se si fa sul serio l'unica razza esistente - come hanno dimostrato genetisti come Luigi Luca Cavalli-Sforza - è quella umana, che esprime una pluralità di culture, ma siamo tutti uguali. So che non convincerò mai un razzista di questa eguaglianza dai molti volti. Sul punto lo stesso Cavalli-Sforza, non a caso, diceva: «Che si tratti di un anziano senatore o di un giovane fanatico, il razzista è un tipo difficile da convincere. Credo che gran parte dei pregiudizi vengano trasmessi dalla famiglia ed è per questo che la scuola può giocare un ruolo importante». E proprio sul razzismo il grande scienziato era tranchant nei libri e nelle interviste: «Il razzismo è l'intolleranza per le persone che sono un po' diverse da noi. Certo, ci sono differenze visibili, poche e non importanti, come per esempio il colore della pelle, che aiutano a stabilire la diversità. Soprattutto però vi sono differenze di costumi, largamente superficiali, che sono il risultato dell'apprendimento, dipendono dalla società in cui viviamo. Il nostro aspetto del resto coinvolge una frazione relativamente piccola del codice genetico della razza umana. Ecco perché individui che discordano su pochi geni, relativi al colore della pelle per esempio, possono invece avere in comune caratteristiche genetiche molto più complesse, anche se non visibili». Ma eccoci al tema correlato. Non conosco di persona il Ministro per l'integrazione Cécile Kyenge, che è giunta in Italia dal Congo nel 1983, quando aveva diciannove anni, laureandosi in Medicina in Italia e diventandone cittadina a tutti gli effetti, sino a essere eletta di recente deputato e essere indicata come Ministro, il primo di colore nella storia della Repubblica. Conosco un pochino il Congo e so quanto, nelle società locali, il ruolo della donna sia significativo, a dispetto dei nostri pregiudizi e quindi la Kyenge è certamente espressione non casuale della sua cultura di origine e segno di integrazione nella nostra. Poi, nel merito politico di certe sue dichiarazioni, com'è giusto che sia, ognuno è libero di essere o no d'accordo. Certo quando Enrico Letta, ma soprattutto il Partito Democratico, l'ha indicata al suo dicastero lo ha fatto certo per una questione di stima per la persona, ma anche e forse soprattutto per una questione simbolica e di immagine. Per cui voglio essere sincero: mi stupisco che ci si stupisca che neofascisti, razzisti per appartenenza politica, o qualche leghista xenofobo sparino cattiverie e compiano stupidaggini tipo il lancio delle banane o l'uso della scimmia della pubblicità del "Crodino". Il Ministro sapeva bene, all'atto della sua accettazione dell'incarico, quanti veleni sarebbero stati distillati contro di lei. In fondo certe follie fanno proprio emergere, per contrasto, come tolleranza e integrazione siano concetti non condivisi da tutti e questo era facile da capire. Per cui che il Ministro svolga con serenità e con impegno il suo difficile lavoro in un Ministero "senza portafoglio", ma in connessione con Ministeri "pesanti", come Interno, Giustizia e Affari Esteri. Se dovesse prevalere la logica della continua indignazione verso stupidi e ignoranti, sarebbe, a conti fatti, solo una perdita di tempo e di energie.