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24 dic 2012

Il Casino de la Vallée

di Luciano Caveri

Ogni tanto, quando si parla della ricchezza passata del riparto fiscale della Valle d'Aosta, ormai molto ridimensionato rispetto agli "anni d'oro" tra tagli e regole nella possibilità di spesa, capita di pensare a quanti anni poveri ci siano stati durante la nostra prima autonomia. Allora, quando i rapporti finanziari erano incerti a causa di uno Stato capriccioso e vendicativo, erano essenziali i proventi derivanti dalle percentuali regionali sugli incassi cospicui del "Casino de la Vallée". Una grande intuizione dei padri fondatori della nostra Regione autonoma, che alimentò per anni il funzionamento della nascente macchina regionale e i primi passi del contemporaneo ordinamento valdostano. Oggi i tempi sono cambiati e quel ruolo appare come un retaggio del passato, mostrando con chiarezza come tutto cambi. Certo mi piacerebbe essere smentito, ma ho l'impressione che dovendo risolvere la questione del Casinò di Saint-Vincent, riducendola all'osso, risulterebbe così riassumibile: 85 milioni di costi e - nella migliore delle previsioni - 75 milioni di ricavi. Cifre forse spoglie ma significative di un andamento negativo, pensando che quando mi occupavo della questione c'erano più dipendenti e dunque più costi di oggi, la casa da gioco non tratteneva il novanta per cento dei ricavi e soprattutto i valdostani non giocavano nel "loro" Casino e chi oggi fa i conti sa quanto i residenti siano serviti ad evitare conti ancora peggiori. Altri tempi si dirà ed è vero, perché nel frattempo - rispetto al complesso crescente dei giochi di uno Stato biscazziere - lo spazio dei quattro Casinò italiani si è ristretto sempre più e questo è avvenuto in un clima piuttosto silenzioso. Basti pensare alla vivacissima conflittualità sindacale ai miei tempi - una settimana di sciopero! - oggi praticamente scomparsa, come se tutto filasse liscio e si vivesse nei migliori dei mondi, specie per la categoria dei croupier. Ora sono in corso i lavori di modernizzazione della parte alberghiera (se all'epoca il "Billia" non fosse stato comprato forse la Casa da gioco sarebbe già chiusa) e del complesso sale da gioco e accoglienza resi possibili dall'acquisto dei terreni attigui: una scelta giusta per ampliare l'attrattività e che ha avuto - per l'importanza degli investimenti in atto - anche problemi di finanziamento, come dimostrato dal prestito "interaziendale" - da partecipata a partecipata - attraverso la società elettrica "Cva", ovviamente non adoperabile, per ragioni note, per la gestione ordinaria ma solo per gli investimenti per non mischiare mele e pere. Ora, al di là di alcuni problemi verificatisi nei lavori già conclusi (imperfezioni nelle camere d'albergo, infiltrazioni d'acqua in altre zone, una sala congressuale con un palco più piccolo del precedente), è ovvio come i cantieri aperti non agevolino la ripresa, ma il clima generale in Italia e in Europa delle case da gioco dimostra che il terreno non sarà comunque molto produttivo, pur ampliando la gamma dell'offerta etichettata come "leisure" con un anglicismo che comprende tempo libero e relax rispetto al "solo gioco". Vedremo: l'importante è monitorare la situazione per agire con efficacia, quando necessario, in un panorama rapidamente variabile in cui anche dire la verità conta.