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27 nov 2012

Integrazione europea sotto scacco

di Luciano Caveri

Mi fa piacere proporvi che cosa ho detto ieri a Firenze in un convegno europeista in cui ho trovato - in una logica di rimpatriata e di "come eravamo" - un sacco di colleghi di quand'ero parlamentare. Non si sapeva per certo che il quasi contemporaneo summit europeo sarebbe fallito, ma sulla riuscita non ci avrebbe scommesso nessuno, come purtroppo è avvenuto e il rinvio è una sconfitta, malgrado i tentativi di minimizzare. Visto che non ce n'è uno degli oratori che abbia tenuto i tempi, con alcuni che sono andati scandalosamente lunghi, io per tigna sono rimasto nei sette minuti che mi spettavano. Battuta iniziale: una volta nei convegni non si parlava di "politica vera" ed erano perciò una noia, adesso che nelle istituzioni non si parla di politica e i talk show servono per fare sovrapporre le voci o per insultarsi, il convegno è diventato incredibilmente interessante. Il contesto: sono al "Comitato delle Regioni" da dieci anni e ho seguito l'origine di tutti i mali europei, vale a dire il fallimento del "Trattato costituzionale" scritto dalla Convenzione e sostituito da quel minimo sindacale che è il "Trattato di Lisbona", che non consente un reale funzionamento dell'Unione, specie dopo l'allargamento che ha reso più complessa la macchina. La crisi è un giano bifronte: una tagliola e dei pretesti. La tagliola perché trionfa un centralismo a Bruxelles e nelle Capitali europee con Roma che si distingue sguazzando nel pretesti. Così il "Patto di stabilità", ora di "Governance economica", strangola la finanza regionale e locale, inventandosi robaccia tipo i controlli preventivi. Il centralismo usa anche il pretesto dei principi di concorrenza e le logiche di liberalizzazione o privatizzazione in un antiregionalismo viscerale. Qui la seconda battuta: mi fa piacere che fra le Regioni piccole da sopprimere nessuno abbia, forse per garbo, citato la Valle d'Aosta oppure non lo ha fatto perché siamo piccoli ma cattivi come Asterix... Con tono sdegnato: voglio sapere se in Italia si crede nella democrazia locale e nei diversi livelli di governo che in chiave europea (dove ci sono circa 250 Regioni, pur con differenze fra loro) significano la sussidiarietà e sovranità condivisa fra Europa, Stati e Regioni, ciascuna con la sua legislazione parallela e complementare con le altre. Finale: se così non fosse, allora si sappia che bisogna smetterla di parlare di autonomia in Italia ma semmai di decentramento ottocentesco anacronistico e indegno. E visto che eravamo in uno straordinario salone di un palazzo storico ho fatto notare con la mano affreschi simboli araldici: l'identità locale non vuol dire rimpiangere gli staterelli ma neppure immaginare un nazionalismo italiano contro regionalismo e poteri locali, che finirebbe in futuro per diventare autoritarismo. Esempio finale: la legge in vigore obbligherebbe la delegazione nazionale che tratta nel Consiglio europeo sul budget comunitario ad integrare due presidenti di Regione, uno delle ordinarie e uno delle speciali, per rispetto del regionalismo per la semplice ragione che certi argomenti - fondi strutturali o agricoli - impattano su materie regionali. Legge del 2003, mai purtroppo applicata. Così è. Sdegno finale e applausi. Intanto, a Bruxelles, il "Titanic" imbarcava acqua...