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20 nov 2012

Occhi puntati sul Casinò

di Luciano Caveri

Se mai scriverò una retrospettiva della mia attività parlamentare, quando le circostanze mi daranno più tempo libero, uno dei punti più singolari che risulterà dagli atti - ci sono ordinati resoconti che restituiscono bene il lavoro alla Camera - è il continuo interesse a tutela della Casa da gioco di Saint-Vincent. Un'azione politica di nicchia ma importante per la nostra Valle. Questa attività del gioco è nata e cresciuta, per intuizione brillante della politica locale, nel secondo dopoguerra (mio zio Severino Caveri ebbe da Presidente il coraggio di aprire il "Casinò di Saint-Vincent", temendo la chiusura immediata da parte dello Stato) ed è stata una "miniera d'oro" per anni per la giovane autonomia speciale. Infatti, grazie al denaro delle decadi, cioè i versamenti che il gestore privato effettuava alla Regione ogni dieci giorni, questo sfruttamento del gioco d'azzardo - in deroga al codice penale - ha fatto vivere l'Amministrazione regionale in tempi di magri trasferimenti finanziari da Roma e ha contribuito a rimpinguare per molti anni le casse regionali anche dopo la stabilizzazione del riparto fiscale. Di conseguenza, tranne quanto sta curiosamente avvenendo in questo periodo in cui un silenzio tombale è caduto sulla crisi senza precedenti della Casa da gioco in un contesto negativo italiano, europeo e mondiale, il Casinò - la più grande azienda su concessione in passato, oggi interamente pubblica - è stato un tormentone nel bene come nel male nel dibattito politico attraverso i suoi quarantacinque anni di storia. Il mio compito per anni, prima che la diga di difesa contro la liberalizzazione si rompesse e l'Italia diventasse la patria dello Stato biscazziere senza eguali nel mondo, era stato quello di evitare la nascita "selvaggia" di nuovi Casinò e di limitare i danni per attività concorrenziali tipo sale bingo in un primo tempo e poi videopoker e slot machines nei bar. Purtroppo a un certo punto una parte crescente del Bilancio dello Stato e strane connessioni con la malavita hanno creato tutte le condizioni di un gioco diffuso e senza limiti reali, che hanno causato uno tsunami per le Case da gioco tradizionali. Un fenomeno che è stato crescente ed è inutile contarsi troppe storie o costruirsi alibi: il settore è in crisi profonda e in grande trasformazione come mostra la tipologia di clientela e nessuno per ora, malgrado gli sforzi, riesce ad andare al di là di una attenuazione infinitesimale dei danni, pensando anche, come nel caso valdostano, all'avvenuta riduzione drastica dell'occupazione e al calo dei profitti per tutti, dai trasferimenti alla Regione decrescenti sino di fatto a sparire alla riduzione degli introiti per i croupier (i tecnici che dovrebbero essere il cuore di un Casino, laddove non ci siano troppi impiegati amministrativi). Ora è in atto un piano di sviluppo nella logica, di cui si è discusso per anni, di modernizzazione della parte alberghiera e congressuale del "Billia" con quella delle sale da gioco e zone annesse. Il contesto è difficile e in questa fase di passaggio più che mai non è facile la scelta della rotta per quella sorta di grande nave da crociera che è il Casinò per non avere brutte sorprese. Schettino docet.