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05 nov 2012

Il ricordo

di Luciano Caveri

In questi giorni toccherà, nel pensare con affetto ai parenti e agli amici scomparsi, scontare quei legittimi momenti di tristezza che il ricordo innesca, specie con la visita ai cimiteri. Penso che la maggior parte di noi non abbia bisogno di queste poche ore e neppure di una tomba davanti per pensare alle persone cui ha voluto bene, ma la tradizione è tradizione. E il culto dei morti è antico e ha segnato tutte le civiltà che si sono succedute e sovrapposte nella nostra Valle. La memoria dei defunti è caratteristica dell'umanità, che ha spezzato l'oblio per i predecessori del mondo animale con un distinguo che ha segnato il nostro percorso. Quando ero ero piccolo, queste visite nei cimiteri un po' mi angosciavano e mi facevano pensare alla morte, che è qualcosa che legittimamente fa paura. Mio padre, dotato di una robusta dose di umorismo, sdrammatizzava le mie paure con il suo spirito caustico. Così ho pensato a lui, leggendo queste battute caustiche di due umoristi. Marcello Marchesi: «Vorrei morire ucciso dagli agi. Vorrei che di me si dicesse: "Come è morto? Gli è scoppiato il portafogli». Fulminante Alphonse Allais: «La mort est un manque de savoir-vivre». Oggi, da grande, guardo i cimiteri con curiosità, non solo perché mi è capitato di visitarne di bellissimi (domani alle 20 su RaiVd'A si parla di quello di Sant'Orso dove sono sepolti i miei bisnonni, Paul Caveri e Hermine De La Pierre) ed in Valle ci sono cimiteri di montagna unici. Ma perché è interessante come questi luoghi generalmente silenziosi si animino del vociare, del via vai, dei capannelli, dell'armeggiare con scale, vasi e tutto il resto. Il mondo dei vivi che irrompe in quello dei morti con grande naturalezza e amore.