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01 nov 2012

No, Presidente

di Luciano Caveri

Stimo molto il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, esponente di spicco odierno e certamente futuro del Partito Democratico. Sarà che siamo coetanei e giornalisti, ma soprattutto perché ho avuto modo di seguire il suo percorso nel settore più delicato per le Regioni, quello della sanità, di cui è stato responsabile per dieci anni con un ruolo di traino anche nella discussione nazionale sul tema del contenimento della spesa e della razionalizzazione dei servizi. Purtroppo avevo letto di recente delle sue dichiarazioni molto critiche sulle Regioni a Statuto speciale e Province autonome, che ora ritrovo per scritto - e fanno ancora più impressione - in un libro del giornalista "Rai" Federico Monechi su "L'Italia delle Regioni", dedicato in molti passaggi al ruolo di spinta verso il processo regionale, sin dalla Resistenza, della Toscana e dunque non a caso concluso con un intervento del presidente di quella Regione. Il libro, delle edizioni "Aska", risale al maggio del 2012 ed è ricchissimo di una ricostruzione storica sul regionalismo italiano delle "ordinarie", compreso il "buco nero" fra la nuova Costituzione repubblicana regionalista e l'elezione dei Consigli regionali avvenuta solo nel 1970! Certo, la pubblicazione non offre nessuna notizia sulla recente terribile sterzata antiregionalista del Governo Monti e di parte del mondo accademico e giornalistico. Fa comunque sorridere pensare che le polemiche già allora fossero le stesse e sul centralismo dello Stato sentite cosa scriveva Riccardo Lombardi nel 1944, quando era nel "Partito d'Azione": "il regionalismo rappresenterà una potente leva rivoluzionaria, perché sarà la riscossa di ceti sociali e proletari, rurali e provinciali, che sono i nove decimi d'Italia contro il capitalismo che trova nell'accentramento il terreno favorevole per la conquista e l'esercizio dei suoi monopoli". La frase finale, tolta certa ingenuità da associare all'epoca in cui il testo fu scritto, andrebbe posta sotto la fotografia di molti ministri dell'attuale Governo Monti. Ma torniamo a Rossi, che annota: "a me sembra che siano maturi i tempi per riconsiderare l'esistenza delle regioni a statuto speciale: Sicilia, Sardegna, Trentino Alto Adige, Valle d'Aosta. Le prime quattro furono istituite nel 1948 quando c'erano le tensioni con l'Austria, il separatismo siciliano e le difficoltà con la Francia per motivi linguistici". Nel proseguo si cita poi l'ultima nata delle speciali, il Friuli Venezia Giulia, nata nel 1963, ricordando la particolare situazione politica e geografica. Permettetemi di dire che questa semplificazione della Valle d'Aosta autonoma grazie alla Francia, di cui spesso siamo vittime, è infondata per chiunque studi la nostra storia dalla Resistenza alla Costituente e poi anche negli anni successivi. L'autonomia, in diverse forme più o meno sviluppate, al di là di qualunque ruolo giocato dai francesi e che sappiamo come a un certo punto si disinteressarono del "caso valdostano", è stata una creatura per cui in primis si sono battuti i valdostani e la pattuizione politica è frutto dei nostri padri e non di altri. Per cui non sta in piedi scrivere per noi quanto aggiunge Rossi rispetto all'insieme delle "speciali": "c'erano , all'epoca, valide ragioni di politica estera che ne giustificavano la nascita. Ragioni che oggi sembrano essere svanite e superate dagli eventi. Tali da far apparire il mantenimento dello status di Regioni speciali anacronistico. I Paesi confinanti fanno parte, insieme a noi, dell'Unione europea, dove, grazie al "Trattato di Schengen", circolano liberamente persone e merci. E le due principali isole sono oggi divenute convinte sostenitrici dell'unità nazionale". A parte quest'ultimo accenno all'unità nazionale, che è ben presente nelle Regioni a Statuto speciale e dunque appare una motivazione eccentrica e al fatto che Schengen nulla c'entri con le merci, ridurre l'autonomia speciale della Valle d'Aosta a una questione italo-francese è sbagliato e infondato. Vi risparmio poi la parte dedicata da Rossi ai "costi" delle Speciali, dove non si comparano mai a trasferimenti finanziari alle funzioni e competenze esercitate, perché quel che conta è la parte conclusiva: "e mi domando se non sia arrivato il momento di mettere tutti sullo stesso piano. La risposta è per me ovvia. Dobbiamo azzerare queste differenze e ristabilire l'eguaglianza fra tutte le Regioni. Ciò, ovviamente, non esclude che lo Stato possa attivare interventi di sostegno mirati verso zone svantaggiate del Sud e delle isole". Insomma: le Regioni autonome che si sono comportate male, come fra tutte la Sicilia ma ci sono stati problemi anche con la Sardegna ad esempio sul rispetto del "Patto di stabilità", vedono ancoro uno spiraglio, mentre la porta è chiusa per le Speciali del Nord. Una semplificazione, quella di Rossi, che spiace e preoccupa, visto che il PD - a meno che arrivino i marziani - dovrebbe governare nella prossima Legislatura.