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21 ott 2012

Una democrazia "sospesa"

di Luciano Caveri

In rapida successione, ho espresso le mie preoccupazioni su come il Governo Monti si stia comportando con il sistema delle autonomie prima parlando al "Comitato delle Regioni" dell'Unione europea e poi intervenendo nella "Camera delle Regioni" del "Consiglio d'Europa", che è una parte del "Cplre - Congresso dei poteri locali e regionali d'Europa". Sono due istituzioni diverse: la prima, operativa dal 1994, si trova a Bruxelles e ha come perimetro quello dei ventisette Paesi membri dell'Unione Europea, mentre la seconda la cui nascita risale allo stesso anno, ma sulle ceneri di esperienze precedenti del dopoguerra, è un'organizzazione internazionale con sede a Strasburgo che conta 47 Paesi e dunque con una configurazione più vasta. Il Comitato ha come punto di partenza i Trattati e quell'insieme di principi che sono chiamati "acquis communautaire" fra i quali c'è in modo indubitabile il rispetto da parte degli Stati membri delle autonomie locali e delle loro prerogative democratiche, mentre gli accordi internazionali del Consiglio d'Europa a tutela dei sistemi autonomistici dei Paesi aderenti sono ancora più dettagliati e cogenti. Questo lo dico per segnalare che i miei interventi erano pertinenti e non estemporanei perché svolti in due organismi che custodiscono davvero, pur in una diversa logica geografica e politica dell'Europa, principi di tutela che si contrappongono alla vecchia logica degli Stati nazionali accentrati, che in un percorso d'integrazione europea sono visti con sospetto per la facilità con cui in passato i nazionalismi esacerbati - di stampo fascista o comunista - sono diventati dittatura. Il rispetto di Regioni ed Enti locali è anche per questo considerato un patrimonio da difendere. Le cose che ho detto le sapete: il Governo Monti, nato meritoriamente per evitare il fallimento di un'Italia indebitata fino al collo, ha sempre più nel mirino le autonomie locali, che sono quelle che hanno pagato il prezzo più alto dai tagli ripetutisi nel tempo e siamo al limite dell'impossibilità di operare. A questo si aggiunge nei provvedimenti un centralismo crescente senza precedenti nella storia repubblicana: si è passati da un federalismo parolaio allo smantellamento di alcuni principi fondamentali nei confronti di Regioni e Comuni (sulla riduzione o eventuale sparizione delle Province sono d'accordo). Per le Regioni l'attacco è evidente e si è persino concretizzato in un recente decreto legge e in una proposta di legge costituzionale che centralizzano e burocratizzano, svuotando il regionalismo lentamente affermatosi e questo non c'entra nulla con ruberie o sprechi che possono essere affrontati nel quadro vigente e senza approfittarne per cambiare la natura della Repubblica. Al "Consiglio d'Europa", che si occupa della materia con accordi internazionali, ho ricordato come in questo quadro desolante ci sia anche il tema specifico delle garanzie per le minoranze linguistiche, visto che c'è pure chi parla di soppressione o accorpamento per Regioni storiche come la Valle d'Aosta. Come reagiscono i colleghi degli altri Paesi? Chiedono e si informano. E non vi nascondo il punto principale: questa idea del Governo interamente tecnico, per quanto votato in Parlamento, li turba profondamente, qualunque sia la loro collocazione politica. In questo l'Italia viene oggi considerata un'anomalia, come una "democrazia sospesa" da seguire con attenzione, perché si tratta del primo caso di una tecnocrazia che si afferma di fatto come sostituta dei meccanismi ordinari di una democrazia rappresentativa sulla base di emergenze varie. Io rispondo che si tratta di un passaggio e che tra breve si tornerà alla normalità. Ma sarà davvero così o di emergenza in emergenza ci terremo questo neocentralismo?