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21 ott 2012

Una riforma che è un nostro dovere

di Luciano Caveri

E' un dato di fatto che, eccettuato il Comune di Aosta con i suoi 35mila abitanti, gli altri 73 Comuni valdostani sono di taglia piccola o piccolissima. Dovendoli raggruppare a titolo dimostrativo: tre si avvicinano ai 5.000 abitanti, cinque sono nella fascia fra i 3.000 ed i 4.000, nove fra i 2.000 ed i 3.000, tredici fra i mille ed i duemila, quindici fra i seicento ed i mille, venti fra i duecento ed i seicento, nove fra i cento e i duecento. Aggiungerei che il 76 per cento dei valdostani abitano nei trentun Comuni del fondovalle ed il sessanta per cento orbita fra Aosta e i Comuni viciniori. Ricordo che abbiamo otto Comunità Montane, anche se il nome, che ricorda un fallimento italiano per un ente che avrebbe dovuto tutelare le zone montane, non corrisponde più a quanto per scelta avviene da noi con una logica di gestione unificata di servizi. Tra un anno saranno vent'anni da quando il nostro sistema autonomistico di dimensioni così ridotte ha rotto il cordone ombelicale con Roma con una modifica statutaria di cui vado fiero: l'ottenimento della competenza esclusiva dell'ordinamento degli Enti locali. Una competenza che - evito di citarvi le numerose sentenze - ha sempre tenuto con grande robustezza di fronte agli attacchi dello Stato finiti davanti alla Corte Costituzionale. Questa competenza primaria è stata per la nostra autonomia importante perché ha reso più forte la nostra specialità e ci ha permesso originalità di soluzioni in termini di legge elettorale, di finanza locale, di organizzazione comunale, compreso lo status di amministratori e di segretari comunali. Un salto di qualità per la nostra democrazia locale invidiato fuori dalla Valle, come sanno i nostri amministratori, quando hanno comparato la nostra situazione con quella altrui, specie pensando alla peculiarità dei territori montani cui apparteniamo a pieno titolo. Oggi il clima sugli enti locali in Italia è pessimo, come del resto per la nostra autonomia speciale. La filosofia è quella dei tagli finanziari feroci, di standard imposti ma astratti, del «piccolo è brutto». Lo Stato sprecone si autoassolve e sceglie la strada di colpire il sistema autonomistico, aiutato da un'ondata di antipolitica dovuta a ruberie in alcune Regioni e con alcuni Comuni italiani in tremendo dissesto finanziario. Così negli anni si sono cercate sugli enti locali nella legislazione statale le soluzioni più diverse (chiamate non a caso con ironia "prove tecniche di legislazione" dalla professoressa Paola Bilancia su federalismi.it) sino alle norme a regime della "spending review". Queste ultime, come quelle precedenti, non si applicano alla Valle d'Aosta proprio perché la competenza in materia spetta al nostro legislatore, il Consiglio Valle. Segno che non dobbiamo fare nulla? Esattamente il contrario. In linea con i risparmi e con le razionalizzazioni in atto dappertutto - anche negli altri Paesi europei dove sta diminuendo il numero dei Comuni o si impongono con diverse formule gestioni comuni anche obbligatorie - bisogna trovare un nostro modello efficace e valido per conciliare queste esigenze con la nostra logica federalista. Certo al "dimagrimento" delle finanze regionali seguirà un'austerità generale e questo vale per i costi della democrazia, dal numero degli eletti ai loro emolumenti in tutti i rami della nostra amministrazione e ai diversi livelli di governo. Ma tutto deve essere logico e coordinato non facendo ad Aosta con logica impositiva sulla democrazia locale quel che Roma cerca di fare manu militari con la nostra Regione. Sarebbe incoerente e contraddittorio e sappiamo quanto pesi psicologicamente nella discussione il ricordo nefasto dell'accorpamento coattivo di epoca fascista. La rinascita nel 1945 in Valle dei Comuni "tradizionali" e la fine della Provincia di Aosta, nata nel 1927 per indebolire i valdostani allargando il territorio tradizionale al Canavese, furono non a caso fra i primi atti della democrazia e le prime elezioni "libere" furono proprio le comunali. Sono certo che non tradiremo il nostro dovere derivante dalla nostra autonomia: saper creare una legislazione sulle autonomie locali innovativa e originale. Questo è il senso profondo dei doveri della specialità.