Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
11 ott 2012

Tagliamoci le palle

di Luciano Caveri

Il caso, probabilmente felice, ha voluto che fossi a Bruxelles ieri sera, quando la trasmissione settimanale "Ballarò" ha trasmesso in tarda serata un reportage sulla Valle d'Aosta. Non avendolo visto, non posso esprimere un mio pensiero sui contenuti, mi limito a osservare la grottesca trasformazione del giornalismo televisivo d'inchiesta. Solo in Italia non esiste mai un reale equilibrio in certe trasmissioni "a tesi", fatte da inviati "paracadutati" che in poche ore costruiscono storie che seguono un filo logico precotto in cui manca il punto essenziale del giornalismo: il confronto equilibrato fra tesi diverse di fronte alla necessità di analisi della realtà presentata. Tutto è sempre abnorme e grottesco e costruito non per raccontare ma per romanzare. Così il montaggio ridicolizza chi non condivide l'assunto da dimostrare e in studio - dove esiste la figura del "conduttore cult" - manca chi possa mettere i puntini sulle "i", perché romperebbe il meccanismo su cui si basa l'indignazione costruita a tavolino e carburante del sensazionalismo che non molla un attimo. Questa tecnica è inconcepibile negli altri Paesi, ma non lo è in Italia dove la neutralità e l'indipendenza sono considerate ormai caratteristiche da "mollaccioni" e non elementari principi deontologici. Più che al giornalismo anglosassone e francese si guarda al garbato equilibrio di un'informazione militante alla "mullah Omar". E' singolare vivere la reazione degli spettatori dal campione così specifico che è la nicchia di "Twitter", dove sin dall'annuncio della trasmissione che verrà fino ai commenti dopo la messa in onda emergono le tifoserie. Ogni critica, anche la più feroce e ingiusta al "sistema Valle d'Aosta", non soddisfa l'oppositore politico che vorrebbe vedere scorrere più sangue. Anzi più estremista è - da un lato o dall'altra poco importa - e più cavalca la tesi: «chiudiamo questa autonomia ormai vetusta». Manca la controproposta ma immagino che sarebbe un cambio al vertice e si riparte, specie per chi dimentica il declinarsi dal 1949 ad oggi degli schieramenti politici che, con diverse geometrie di alleanze, hanno governato la Valle e alcuni dimenticano di esserci stati. Esiste poi una vasta categoria, non solo sul web, dei "tafazziani", cioè quelli che vogliono rompere il giocattolo con virulenza, dimenticando cosa facciano nella loro quotidianità con l'evidente paradosso che - chiusa l'autonomia e "normalizzata" la specialità - per svolgere il loro lavoro dovranno andarsene a Timbuctù e naturalmente chi resta non avrà più molti servizi garantiti oggi dalla vituperata Regione autonoma e dal suo welfare. Ma l'odio è un potente aggregatore e galvanizza, per cui si è pronti a tutto, magari coltivando l'idea che il distruttore "effetto domino" toccherà tutto ma non il proprio giardino. Pia illusione, ma logica nel Paese in cui "il cornuto si taglia le palle per far dispetto alla moglie" e in cui dopo l'8 settembre - seguendo il cambio del vento - tanti fascisti sono diventati, con brusca "inversione a u", antifascisti. Proprio come i regionalisti e federalisti oggi votati alla nuova causa dello Stato centralista autoritario. Triste parabola.