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28 ago 2012

La montagna e la fatica

di Luciano Caveri

«Siamo arrivati, papà?». Quante volte chi da bambino ha frequentato la montagna avrà pronunciato questa frase, arrancando su di un sentiero durante una gita. La risposta, in una logica che diremmo motivazionale, era la stessa: «Ancora un pochino, giusto lì dietro e ci siamo». Una bugia a fin di bene per evitare che si facessero i capricci. La "formazione alla montagna" faceva parte, in fondo, di uno dei tasselli di quella cosa che ognuno può vedere come vuole, ma certo c’è, che potremmo classificare come "valdostanità". Non era - badate bene - un approccio agonistico alla montagna, come oggi sembra andare per la maggiore, anzi era una semmai un'educazione ad una logica "slow", perché la montagna va affrontata con rispetto, pazienza e con quello che oggi verrebbe chiamato un approccio olistico. In fondo questa è la grande differenza, in soldoni, fra la vacanza in montagna e al mare. Se ci si deve godere davvero la montagna e la salute lo consente non si sta "spiaggiati" ma esiste nel movimento l'autentico godimento dell'ambiente naturale e questo comporta anche fatica in un orizzonte più vasto del perimetro "piscina-sdraio-spiaggia-mare". Ricordo come mi divertissi a leggere certi articoli estivi di Giorgio Bocca, piemontese sepolto ora per sua scelta nel cimitero di La Salle, quando si arrabbiava con i turisti della domenica che arrivavano nella zona del Monte Bianco con le loro auto rombanti (lui uno come Lele Mora lo avrebbe fatto sul barbecue e non trattato con i guanti bianchi) e perdevano la parte più bella dei panorami perché ormai bestie anchilosate non capaci di fare due passi a piedi lungo i sentieri. Condivido e rilancio, pur amando il mare, su questa visione salutista della montagna, senza scomodare la pur esistente parte estatica e, se volete, persino mistica su cui tanto ha detto Giovanni Paolo II, quando da Les Combes si guardava attorno nello scenario alpino e pensava forse - nella logica dell'unica internazionale buona, quella delle montagne - ai natii monti Tatra. Più prosaicamente l'abbronzatura marina è statica, quella montana è dinamica, conquistata stesi su di un prato durante una passeggiata o addirittura mentre cammini. La natura montana è molto più cangiante, non solo per il già citato movimento che consente di passare grazie all'altimetria da fasce climatiche ad altre, ma anche perché la variazione della meteo è comunque impressionante. Penso che sia capitato a tutti di trovarsi dall'estate torrida a condizioni quasi invernali stando fermi nello stesso rifugio. Vi è poi una straordinaria illusione ottica, che divide il turista accorto da quello svanito. Le Alpi, tranne in quella soglia che distingue la parte sommitale disabitata dal resto del territorio, sono un terra lavorata nei millenni dall'uomo e il godimento dei luoghi finisce per essere - in barba a chi si fa gabbare dalla logica "wilderness" - l'incontro con una cultura, quella alpina, di cui quella valdostana è una componente.