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24 ago 2012

Le Alpi "viventi"

di Luciano Caveri

«Un albero sotto i raggi del sole, un sasso segnato dalle intemperie, un animale, una montagna: tutti hanno una vita, una storia, vivono, soffrono, affrontano i pericoli, godono, muoiono. Ma non sappiamo il perché». Questa è una frase di Hermann Hesse, che può apparire bizzarra, perché mischia oggetti animati (animali) e oggetti inanimati (sasso) e pone fra le categorie "viventi" anche le montagne. Ci riflettevo l'altro giorno, perché la vita è fatta di flash, guardando le immagini della caduta di una massa enorme di rocce da una catena di montagne che, il giorno di Ferragosto, ho contemplato a lungo, proprio nella sua apparente e maestosa immobilità, dall'altra parte della vallata, Les Dents-du-Midi. Sono guglie rocciose nel vicino Vallese, ai cui piedi è nato uno primi tour escursionistici come rilevabile nel sito dentsdumidi.ch e che così vengono descritte in sintesi: "Ce chaînon montagneux de trois kilomètres de long, domine le val d'Illiez et la vallée du Rhône avec orgueil. Ses setpt sommets de plus de 3.000 mètres peuvent être admirés depuis le Lac Léman". La frana in questo caso dimostra proprio quel che sappiamo: l'incredibile e avvincente storia geologica delle Alpi. Prendo da un sito qualunque un breve descrittivo degli avvenimenti ab origine: "l'attuale struttura geologica dell'Italia deriva essenzialmente dall'orogenesi alpina, detta anche alpino-himalaiana o alpidica. Si tratta di un complesso di deformazioni e di accavallamenti degli strati rocciosi, che è iniziato nel Cretaceo (circa cento milioni di anni fa) e si è concluso praticamente nel Miocene (circa quindici milioni di anni fa) anche se alcuni contraccolpi, di non secondaria importanza, sono tuttora in atto. L'orogenesi alpina si è manifestata in seguito alla collisione della zolla africana con quella europea. Questo scontro colossale fra due cratoni, cioè fra due grossi blocchi di crosta terrestre, ha provocato la compressione del materiale roccioso che costituiva il fondale di un piccolo bacino oceanico chiamato "piemontese-ligure" ampio probabilmente più di mille chilometri e lungo cinque volte tanto, situato fra la paleoeuropa e una propaggine dell'Africa occidentale, ora scomparsa, detta "Promontorio africano" o Insubria". Ricordo a questo proposito il bel libro "In principio era il mare. La storia geologica delle Alpi" di Enrico e Stefano Camanni, che mostra appunto la vitalità di incroci di vario genere che hanno generato la catena alpina come un habitat in continua evoluzione. Sappiamo come l'attuale cambiamento climatico sia foriero di ulteriori significative novità, oggi come in un passato, che definire turbolente è dir poco. Basti pensare a quel "cemento", il permafrost, che si sta sciogliendo nel sottosuolo delle nostre cime e rischia di cambiare i profili e i disegni delle montagne così come oggi le vediamo. Ecco perché non si può non consigliare a noi valdostani e a chi ama e percorre la Valle di guardare alla montagna odierna pensando ai cambiamenti del passato e a certi odierni sgretolamenti, crolli, arretramenti dei ghiacciai. Una vitalità, un cambiamento continuo che hanno ricadute, oggi come nel fluire dei millenni, sulle popolazioni che hanno scelto di vivere sulle Alpi. E comunque: la prima volta che mi lamenterò della neve quest'inverno che mi venga ricordata la canicola di queste ore.