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15 ago 2012

Il reset

di Luciano Caveri

Devi "resettare": il termine risale alla seconda metà degli anni Sessanta e deriva dall'italianizazione del termine inglese "reset", applicato alla nascente informatica e che vuol dire azzerare, riportare allo stato iniziale. Ricordo quando usai la prima complicatissima agenda elettronica. Se tutto andava in vacca, c'era un buchino che serviva per rimettere ordine al caos. Questa poi si dimostrò spesso, ma non sempre, l'ancora di salvezza nello strisciante affermarsi del computer, mentre oggi la mia vita nel palmare ogni tanto si blocca e ormai ho diverse modalità per resettarlo con affettuosa speranza che si ripigli. Il marchingegno manca nella vita comune ed è un peccato. Si creano delle situazioni di vario genere in cui sarebbe bello avere, come una bacchetta magica, un pulsante del "reset" per ripartire specie quando la matassa si è fatta inestricabile. Esempi dalla vita politica. Peccato che il Parlamento italiano e il Governo Monti non possano essere resettati. Magari il primo tornerebbero a fare il potere legislativo e il secondo il potere esecutivo. Ora siamo in un'inquietante impasse istituzionale, che ha spostato anche l'asse del Quirinale. Non sarebbe neppure male riazzerare il rapporto fra Regioni e il centralismo romano, ormai invasore senza precedenti di poteri, competenze e finanze che quella bazzecola della Costituzione assegna loro. Andrebbe resettato il rapporto saldato fra una certa magistratura militante e un giornalismo d'assalto, che scuote i loro ruoli reciproci che dovrebbero essere equilibrati in una democrazia sana. E da noi? Difficile dire. Credo che qualche "reset" lo userei per capire lo strano clima nell'Union Valdôtaine, dove ora e troppo spesso il "silenzio è d'oro". E anche da noi ci vorrebbe qualche "reset" nel rapporto fra esecutivo e legislativo. Forse l'intero dibattito politico andrebbe fatto ripartire e io vorrei ricordare che al centro dello Statuto c'è la democrazia rappresentativa e non il proliferare di comitati e comitatini, di società civile che ne implica una incivile, di petizioni e esposti. Tutte cose degnissime, ma il sistema istituzionale è altra cosa. Vorrei resettare il dibattito su lingua e cultura, perché le ragioni del particolarismo - che non è provincialismo - sono a rischio banalizzazione. Del federalismo non fatemi dire perché ci vorrebbe una macchina del tempo e andare ad aggiustare le cose o durante il Risorgimento o al momento della Costituente. Vorrei resettare me stesso e coinvolgere altri nella speranza per il futuro oggi tutto imprigionato nelle sabbie mobili della crisi e dalle paure che ciascuno di noi ha. I problemi veri, concreti sono come ombre confuse di fronte all'emergenza che soffoca regole, idee e principi. Vorrei resettare il presente per guardare con forza e speranza al domani, altrimenti ogni giorno rischia di essere una schifezza. Scusate lo sfogo.