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01 apr 2012

Educazione e innovazione

di Luciano Caveri

Riparto da Kielce, città polacca specializzata in attività fieristiche (attività anche lì in crisi e dunque bisognerebbe pensarci, prima di trovarsi con un centro espositivo all'Autoporto di Pollein). Il tema della Fiera era in questo caso l'"Educazione": gli stand sono molto vari, perché si va da libri, giochi, software, materiale didattico a un intero padiglione dedicato alle scuole di tutti i generi (dai licei alle estetiste, dalla polizia alle parrucchiere). Fra un intervento ufficiale e l'altro - che evoca nel meccanicismo protocollare un'impronta indelebile di un certo ordine ottuso del comunismo ("socialismo reale") passato  - emergono nei dibattiti discorsi interessanti. Tutti hanno in mente due cose: la prima è il venir meno di una parte delle risorse pubbliche che obbliga le scuole ad esercizi di risparmio. La seconda, che ovviamente stride con la prima, è che l'educazione (termine adoperato a tutto tondo in coppia con l'altra parola chiave: "formazione") deve tenere conto del peso crescente dell'innovazione. Come dire che la modernità non si può fermare di fronte ai portoni d'ingresso delle scuole. In Polonia si è parlato della necessità di una "rivoluzione" (termine anche qui laicizzato con l'Unione Sovietica fuori dalle scatole), che vede al centro l'insegnante del XXIesimo secolo, prima ancora che le tecnologie a loro disposizione. Da questo punto di vista, nella formazione e nell'uso, il mondo digitale appare la sfida del futuro, vissuta appunto non solo dagli strumenti (lavagne elettroniche, computer portatili, e-book, filmati...), ma ovviamente dagli esseri umani, docenti e studenti e dalla loro adesione alle novità emergenti. Il lungo dibattito cui ho assistito insegna almeno una cosa: nessuno in Europa scopre l'"acqua calda", perché c'è qualcuno in qualche altra Regione europea che ci ha già pensato e per questo bisogna stare all'ascolto.  Facendo, come ha ricordato un oratore, quel che diceva Pelé, che un giorno, spiegando il "suo" calcio, affermò che lui non seguiva mai la palla in campo, ma cercava di intuire, per esserci, dove la palla sarebbe andata a finire. Illuminante come metodo.