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28 mar 2012

Brevi da Copenaghen

di Luciano Caveri

Copenaghen è una di quelle città nordiche dove si vive ad un ritmo umano. Nessuno qui muore di stress a dispetto delle prese in giro che hanno nei confronti degli "europei latini". Il simbolo nazionale della Danimarca è la bicicletta e, viste le code nelle ciclabili all'ora di punta, e l'affollamento nei marciapiedi di pedoni che viaggiano di gran carriera, verrebbe voglia, per un semplice sghiribizzo, di girare in macchina. Ma temo che solo una vettura elettrica susciterebbe simpatia. Lo sviluppo sostenibile è il loro marchio di fabbrica, ma scopri poi che anche loro bella via centrale, dove si fanno le "vasche" come dappertutto, hanno camion e camioncini che sostano a motore acceso per rifornire i negozi in zona pedonale. E i locali del centro, in barba al vangelo del "bio", distribuiscono a palla le ottime birre nazionali e ci sono più catene di fast food che negozi della "Lego", giocattoli autoctoni. Vi prego poi di non dire che qui, sopra il grande termovalorizzatore per bruciare i rifiuti senza alcuna paura, sorgerà una pista di sci! Ma, al di là del tono scherzoso, questo piccolo popolo danese è ordinato e educato, dimostrazione che le piccole comunità sono più facilmente governabili, se mantengono pesi e contrappesi democratici e non c'è chi decide per tutti. Al Summit di città e regioni, che serviva per prepararsi a "Rio+20" con la solita lite sui cambiamenti climatici in una matassa di interessi contrastanti, ho scherzato con il presidente della Commissione, José Manuel Barroso, dicendogli che l'assemblea annuale degli eletti della montagna sarà nel "suo" Portogallo. Lui mi ha ricordato di aver insegnato per sei anni all'Università di Ginevra e veniva spesso in Valle d'Aosta, anche a sciare. Il rapido colloquio non mi ha consentito di dirgli che sapevo che è un esperto di un federalista ben conosciuto da noi, Denis de Rougemont.