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31 gen 2012

Nel ricordo di Sandro

di Luciano Caveri

Ho già raccontato di aver portato i miei figli ad Auschwitz, posto terribilmente evocativo come possono essere i luoghi della Storia, dove sembrano essere rimasti stagnanti il dolore e la disperazione che lì sono stati vissuti. Come se ci fossero ancora dei fantasmi o delle "presenze": è uno dei pochi casi d'irrazionale che mi convince. Trovo che certe visite, che ho organizzato anche all'epoca della Presidenza con giovani studenti valdostani, siano salutari come antidoto contro ogni forma di simpatia per i totalitarismi di qualunque colore essi siano. Lo preciso perché non sono mai caduto nel giochino di chi, se sottolinei l'orrore della Shoah, per sdrammatizzare certe vicende tira in ballo tutte le altre stragi di ogni epoca e nei diversi orizzonti. Verissimo, sono tutte deprecabili, ma l'Olocausto ha caratteristiche singolari che ne accentuano la "spaventosità" e lo pongono come una pietra miliare in negativo di come l'umanità sappia cadere in basso, strisciando in un fango di violenza e cattiveria che lasciano stupefatti. Ci sono un sacco di buone letture su come nacque il progetto di sterminio, su come funzionassero queste "macchine di morte" e sulla vita non solo dei perseguitati ma anche dei persecutori, complici di un disegno mostruoso. L'impatto emotivo, per i miei figli e anche per me, è enfatizzato dalla circostanza che il loro nonno, mio padre in quel campo di sterminio ci è stato per alcuni mesi, prima di finire in un campo di lavoro a Cracovia. Era stato deportato come militare italiano che non aveva giurato fedeltà al fascismo e vi assicuro che da allora la sua vita non è mai più stata la stessa, come se quel carico di mostruosità e paure se lo fosse portato sulla schiena. Era partito, infilato nel vagone di un treno da Aosta, quando era poco più di un ragazzo (ma così coraggioso da accompagnare nei mesi prima gli ebrei in fuga in Svizzera) e tornò nella primavera di due anni dopo con un'esperienza nel cuore, riassumibile in una scelta. Al suo ritorno, infatti, lasciò gli studi in Legge («avevo visto che il diritto non esiste») per diventare veterinario. Ma questo non servì a liberarlo da quegli stessi fantasmi di cui ho avvertito la presenza nei luoghi dove era stato prigioniero.