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01 gen 2012

Addio, Giorgio Bocca

di Luciano Caveri

Avevo notato che da qualche tempo Giorgio Bocca non scriveva più. Un brutto segno per un novantenne. Posso dire che ho letto Bocca negli ultimi quarant'anni. Mio papà correva con lui nello sci di fondo nelle squadre sportive di epoca fascista ed era fiero della sua conoscenza, leggendolo su "L'Espresso" e su "La Repubblica". Poi il caso: nel 1978 quando iniziai a fare il giornalista Bocca faceva una rubrica settimanale per "Radio Reporter 93" di Torino e mi capitò di dovergli telefonare per per metterci d'accordo sulle registrazioni. Lui un "mostro sacro", io un pivello. Ma con me era gentile a dispetto della fama di cuneese brusco e taccagno. Ho sempre letto quanto scriveva della "sua" Valle d'Aosta, prima villeggiante a Courmayeur e poi La Salle, dove - estremo gesto di affezione - verranno portate le sue ceneri. Raccontava in articoli e libri del suo amore per le nostre montagne, ritratti di montanari, pensieri sulla storia e sull'evoluzione del costume e molto altro ancora. Scriveva e scriveva con ritmo infernale, come una sorta di Georges Simenon, aggiungendo, come dicevo, altre collaborazioni con radio e televisioni, dove sfiorò per un certo periodo il sogno berlusconiano.  Anche quando scriveva della Valle, come per tutto il resto, alternava osservazioni acute e uniche, giocando con un ritmo secco e incalzante di scrittura a momenti in cui la dote della velocità veniva appena oscurata da imperfezioni nel controllo delle fonti. Ma erano "scivoloni" che non oscuravano la luminosità della sua stella, che ora si è spenta. Mi auguro che qualcuno raccolga prima o poi quanto ha scritto sulla Valle d'Aosta.  Giorgio Bocca è morto il giorno di Natale con un guizzo degno di certe impagabili conclusioni dei suoi editoriali.