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26 dic 2011

Ad una settimana: la sua versione dei fatti

di Luciano Caveri

Dovessi dire, non avevo capito la solennità. Io in quella stalla ci vivevo da tempo e la mia vita era scandita dai ritmi delle stagioni. L'inverno voleva dire stare in quella piccola stamberga a oziare in attesa del cibo, anche se ogni tanto il padrone mi faceva uscire perché non restassi anchilosato. Sfatiamo subito l'idea, entrata nella leggenda, che potesse esserci la neve: basta vedere sulla carta geografica dove si trova la Palestina per sapere che lì nevicate non ce sono, anche se in effetti quella notte famosa per le nostre zone faceva freddo. Più o meno andò così. Io stavo pensando ai fatto miei in un angolino, quando sento aprirsi la porta e assieme ad un colpo di vento entrano di gran fretta un uomo e una donna.  Si sistemano in una parte della stalla e capisco dal loro dialogo - sarò usato come metafora dell'ignoranza ma non sono mica stupido - che la donna, bellissima, sta per partorire. Lui la chiama Maria e lei lo chiama Giuseppe. Il parto fu rapido e sentii con le mie orecchie (e che orecchie!) il primo vagito della piccola creaturina, che venne pulita, avvolta in un panno e sistemata sulla paglia proprio nella mia mangiatoia a pochi centimetri dal mio naso. Poi, nelle ore dopo, scoppiò il finimondo, come se la nostra piccola stalla fosse diventata il centro del mondo. Entravano a turno nella stalla centinaia e centinaia di persone che si inchinavano e pregavano di fronte a quel neonato e alla sua famiglia. Sentii che i genitori chiamavano il bimbo Gesù e lui trascorreva il tempo come tutti i bambini piccoli fra il seno della mamma e il sonno.  Furono giorni unici e irripetibili. Mi spaventai solo per un chiarore notturno e dei crepitii, che sentii essere stati causati dal passaggio, proprio sopra il tetto sulla nostra testa, di una stella cometa. E fui commosso quando la famiglia se ne andò. Fu lei, la mamma, ad accarezzarmi il muso. A noi asini piace e anche il mio amico bue, con cui condividemmo la storia, gradì quel gesto.  Non sapevamo bene allora che il nostro calore era servito a qualcosa di grande.