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26 nov 2011

Sergio aveva torto, però...

di Luciano Caveri

Sostenere, di fronte al Governo Monti, che «è stata sospesa la democrazia rappresentativa» è una constatazione. E neppure suona come un'attenuazione credibile quella scelta simbolica voluta dal Presidente Giorgio Napolitano di nominare Mario Monti, prima di designarlo come presidente del Consiglio, quale primo senatore a vita del suo mandato al Quirinale. Tuttavia, la critica all'arrivo dei tecnici, sul quale io ritengo non ci fossero alternative se non le elezioni politiche immediate, dovrebbe essere accompagnata da una sana autocritica da parte di noi politici, e ne parlo coinvolgendomi, perché sarebbe ipocrita addossare solo ad altri responsabilità collettive e di lunga data. La deriva della personalizzazione della politica ha privilegiato la logica delle "primedonne" alla caratteristica della politica come "gioco di squadra" con la presenza di leader, naturalmente, ma che devono compartecipare ad un progetto e non scambiare il loro ruolo come fosse un'investitura divina. La politica ha poi sbagliato su un altro punto: le leggi elettorali restano fallibili sia con le liste "bloccate", in cui i partiti indicano i candidati da eleggere a seconda del loro posto in lista stabilito dai partiti stessi sia con le preferenze, quando queste entrano in meccanismi di "cordate" in cui la competenza per assumere incarichi elettivi diventa una scelta marginale, contando di gran lunga di più la fedeltà al capo presunto "unto dal Signore". Qualche sera fa, in un corso di formazione dedicato agli unionisti, ho avuto modo di parlare di temi europeistici e di riflettere pure su questi temi attorno alla democrazia. Il mio amico, l'avvocato Sergio Badellino, scomparso purtroppo un anno fa (e che ricordo con affetto), mi sfotteva sempre, fiero della sue posizioni politiche di estrema destra. Sul filo dell'ironia mi attaccava sul suffragio universale, usando come motivazione dialettica la contrapposizione fra chi adopera il proprio voto sulla base di ragionamenti profondi e un robusto bagaglio culturale e chi vota senza nessuna conoscenza reale, magari esclusivamente ipnotizzato dalla televisione. Si deve rifiutare questa visione, per così dire élitaria e ultraconservatrice della politica, ma non si può comunque far finta di niente sul fatto che la democrazia non abbia funzionato bene su questo punto. L'idea che i cittadini sarebbero stati partecipi e consci della "cosa pubblica" è stata smentita in tutte le democrazie mature e la rappresentanza politica e la sua autorevolezza ne hanno risentito. Esempio caratteristico sono le interviste a certi parlamentari in piazza Montecitorio che, sollecitati con insistenza su certi punti elementari, fanno delle misere figure, avvolgendosi nella loro ignoranza. Temo che si tratti di un problema generale e ciò non avviene solo a Roma.