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25 nov 2011

Mazzarò

di Luciano Caveri

Giovanni Verga, grande scrittore siciliano, rappresenta nei suoi libri, in modo esemplare, dei tipi assai significativi di umanità. Ci riflettevo su questa questione, tutta politica, dell'assioma semplificatore fra autonomia speciale e soldi.  L'accusa che pesa su di noi dall'esterno è «siete troppo ricchi» con riguardo ai trasferimenti finanziari del riparto fiscale. Il ragionamento interno, invece, sembra diviso in due: chi considera  - e io fra questi - che siamo di fronte a diritti statutari concretizzati in norme d'attuazione e bisogna far valere questi nostri diritti anche attraverso buoni rapporti con chi governa a Roma; chi, invece, ritiene prioritario quest'ultimo aspetto e ciò avere rapporti con chi governa costi quel che costi e con elevati prezzi politici sul proprio patrimonio di idee per ottenere dei vantaggi tangibili. Al di là del fatto che, come dimostrato dal rapporto con il Governo Berlusconi, i conti vanno sempre fatti bene e in questo caso i "pro" risulteranno inferiori ai "contro", io credo che, rispetto ad una logica "patrimoniale" della politica, si debba avere un atteggiamento di "juste milieu". Comunque sia, torniamo a Verga e alla sua celebre novella, intitolata "La roba", come simbolo di un benessere fatto solo da un maniacale desiderio del protagonista, tale Mazzarò, di accumulazione di beni come pascoli, terre, fattorie, magazzini colmi, animali ( "Pareva che fosse di Mazzarò perfino il sole che tramontava, e le cicale che ronzavano, e gli uccelli che andavano a rannicchiarsi col volo breve dietro le zolle, e il sibilo dell'assiolo nel bosco"). Questo contadino siciliano vive la sua ossessione di possesso "fisico" che lo rende arido sino all'epilogo drammatico e folle, quando grida di fronte alla morte «Roba mia, vieni con me». Ovviamente estremizzo, ma questa figura gretta è un ammonimento perché mai qualcosa di analogo possa capitare ai valdostani. Se l'autonomia speciale fosse solo la "roba" saremmo mal messi.