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14 set 2011

Privacy e realtà

di Luciano Caveri

Qualche anno fa, dopo le elezioni regionali, periodo in cui qualcuno si era divertito con il tam tam sulla mia omosessualità come arma pecoreccia per un dileggio da bar, scrissi su "Le Peuple valdôtain", nel "Calepin" che allora pubblicavo sul giornale unionista, un pezzo garbato in cui ribadivo che, per me, le preferenze sessuali di qualunque essere umano non sono un problema mio ma suo, che però io gay non lo ero mai stato né "strutturalmente" né "occasionalmente". Per cui, libero ognuno di far quel che voleva della sua vita con il mio massimo rispetto, libero io di chiedere di smetterla con una notizia semplicemente infondata. L'Ansa - chissà perché - trasformò sua sponte, cioè senza neppure una telefonata all'interessato, il "Calepin" in notizia che finì in nazionale. Questo mi creò una serie di telefonate di colleghi che, incuriositi dalla "non notizia", volevano scriverne ed io ero a Lampedusa in una zona dove il telefono cellulare andava e veniva. Particolarmente insistente fu un cronista de "La Repubblica" e, dopo parecchi minuti di una conversazione difficile per via del segnale, sbottai - sfinito dall'evidente ricerca del mio interlocutore di un particolare piccante - che al limite da giovane potevo essere stato considerato un "figaiolo". Espressione goliardica orrenda, detta per scherzo nel contesto sbagliato, che trovai ovviamente pubblicata sul giornale l'indomani. Colpa della mia stupidità e della mia attitudine ad essere sempre disponibile con i giornalisti, pagandone il conto. Temo faccia bene chi si dimostra irraggiungibile o viene "filtrato" dall'ufficio stampa. Questa lunga premessa per dire che ribadisco qui che - in linea di principio e sulla base delle mie convinzioni - esiste uno spazio di libertà in certi ambiti.  Così l'appetito sessuale di Silvio Berlusconi è un fatto suo personale, semmai commentabile con lo stupore di una virilità a dispetto dell'età e di problemi di salute del passato. Buon per lui, come mi ha detto qualche sostenitore del Cavaliere, lasciandomi capire che queste "prestazioni" creano solo invidia. Spiace rilevare, tuttavia, che quel che emerge in vicende giudiziarie che tornano prepotentemente in primo piano e che si incrociano fra di loro (in cui la «nipote di Mubarak» - nella memoria alla Camera il premier ribadisce che all'epoca credeva davvero che ci fosse questa parentela! - era solo la punta dell'iceberg) è che penchant privato e pubblico si mischiavano pericolosamente (basti pensare alla scelta di alcune "candidate" per elezioni e comparsate televisive) e la "corte dei miracoli" era incredibile. Saranno i giudici a rilevare o meno implicazioni penali, per il resto credo che bellezze vistose, festini, telefonate intercettate, foto, regalini e tutto il campionario faranno fiorire - finito il berlusconismo - una letteratura e una memorialistica minori in cui si ricostruiranno, con retroscena "rosa", tante vicende di questi anni. Non credo che si dovrà aspettare molto.