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30 ago 2011

La "ricchezza" delle Alpi

di Luciano Caveri

Fa sempre piacere quando qualcuno si occupa delle minoranze linguistiche sulle Alpi, tema di cui mi sono occupato molte volte nella mia attività parlamentare ai diversi livelli. In effetti lo studio, ma soprattutto la frequentazione "sul campo" delle minoranze, mi ha comunicato con chiarezza come la civiltà alpina abbia nelle minoranze - piccole o grandi che siano - un punto di forza e di giunzione, una volta ridotta al lumicino la stupidità nazionalistica che avrebbe voluto cancellare ogni diversità. Anzi, la mia tesi ben nota è che un giorno verrà in cui, in una logica europea, cancellate davvero le separatezze delle frontiere che oggi incidono ancora moltissimo, si capirà meglio la grande opportunità offerta dalle minoranze. Vorrei, solo per fare un esempio, che i miei amici walser apprezzassero che cosa significhi oggi poter far parte della grande realtà germanofona in evidente progresso in Europa. Ma, tornando al punto, nell'ultimo numero della "Revue de géographie alpine" c’è un interessante articolo su "Minorités linguistiques autochtones des Alpes italiennes". Pur con qualche ingenuità giuridica, giustificata dalla difficoltà di capire certe sottigliezze del diritto italiano, i quattro autori (Ernst Steinicke, Judith Walder, Roland Löffler e Michael Beismann) incrociano i contenuti della legge di tutela della minoranze linguistiche storiche (la 482 del 1999 che seguii passo a passo) con alcuni aspetti demografici di grande interesse. La tesi più importante è espressa in questo breve stralcio: "la repopulation, depuis 1990, des régions montagneuses élevées périphériques est un processus complètement nouveau. La migration d'agrément amène des réfugiés urbains vers les diverses vallées alpines où ils ont une influence sur la structure ethnolinguistique. Ce processus affecte les plus petites minorités autochtones linguistiques, qui sont susceptibles de disparaître tout à fait graduellement". Se leggerete il testo nella sua completezza, si verificherà in sostanza questa tesi: la forte immigrazione, sempre meno assimilabile mano a mano che la minoranza è più piccola, tende a stravolgere le caratteristiche di particolarismo preesistenti. Le trasformazioni sono naturalmente un fenomeno noto dell’evoluzione culturale, per cui bisogna prenderne atto, ma va accompagnato da misure di protezione e tutela - di cui per primi siano convinte le popolazioni interessate per evitare arzigogoli giuridici che agiscano nel vuoto - perché gli stravolgimenti non siano come il napalm e brucino in tempi rapidissimi un patrimonio millenario.