Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
29 ago 2011

Lo spiritismo

di Luciano Caveri

Leggo di un fantasma, nelle vesti ottocentesche di una bimba, fotografato in un museo di Napoli. Io non credo nei fantasmi, anche se da ragazzino - come molti - ho avuto un periodo in cui, per divertimento con gli amici, facevamo dello spiritismo, specie con il piattino in movimento sulle lettere dell’alfabeto a dialogare con gli "spiriti". Smettemmo per paura una volta che mio cugino Luca, indicato come il nostro medium in trance, finì in uno stato pietoso, mentre cercava di materializzare un "ectoplasma". Nella vecchia biblioteca di famiglia, smembrata fra i fratelli Caveri, c'era un libro, rilegato in rosso, che mi faceva un pochino di paura, intitolato "Per lo spiritismo" di Angelo Brofferio, che ho scoperto poi essere stato un successo editoriale nella sua epoca. Questo Brofferio - da non scambiare per il noto patriota piemontese vissuto qualche anno prima - è stato un precursore della psicologia moderna e dedicò questo volume ad un fenomeno allora in gran voga (nelle famiglie borghesi, in assenza della televisione, si faceva dello spiritismo) e studiato anche da scienziati seri, tipo la celebre Marie Curie, che si appassionarono in particolare alle gesta di una celebre medium ottocentesca, Eusapia Palladino. Pur avendo uno spirito ribelle a queste storie di fantasmi, confesso una vicenda personale. Ero poco più che ragazzo, quando una notte - svegliato da un rumore in cortile nella casa di Verrès - vidi con i miei occhi un piatto smaltato che si muoveva da solo, rovesciato, sull'asfalto. Quel piatto, che usavamo per il cibo del cane, era stato di proprietà della zia Eugenia, allora di recente mancata. Sceso a controllare, mi venne idea che fosse la zia che voleva dirci qualcosa. Svegliai mio padre, che - serafico e volterriano com'era - mi disse: «diremo qualche preghiera». L'indomani mattina, nella polvere del lunotto della mia auto, c’era una firma: "Eugenia". Roba da infarto e non fu l'unica "comunicazione" della zia.