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05 ago 2011

Non rubare

di Luciano Caveri

Qualunque sia la versione biblica dei cosiddetti dieci comandamenti, l'ammonimento "non rubare" risulta netto e chiaro. Ci sono poi, in queste sacre scritture, una miriade di espressioni sul tema, come quella che dice "perché ci preoccupiamo di agire onestamente non solo davanti al Signore, ma anche di fronte agli uomini", che esaltano l'onestà e ridimensionano il rischio che il pentimento diventi un "passepartout", comodo per far finta di niente su questa terra. Naturalmente di etica pubblica e legalità - sorelle gemelle dell’onestà - tutti parlano, compreso chi non le pratica. E ciò avviene anche nello "spazio politico", che è per definizione costituzionale "laico" e che dovrebbe prevedere la correttezza come principio (comma 2 dell'articolo 54 della Costituzione: "I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge"). E poi, naturalmente, ognuno si porta dietro e si riferisce nei propri comportamenti anche al suo credo religioso o al suo pensiero di riferimento. Ci riflettevo di fronte al riaffacciarsi di una nuova "Tangentopoli" ed in presenza di un gran strillare contro le "macchine del fango" che sporcherebbero carriere e reputazioni. Margini di errore, anche grave, ce ne possono essere come dimostrato in passato e chi è innocente fa bene a battersi. Ma quel che insospettisce di questi tempi è la vastità del "coro" di chi strilla al complotto e, magari in certi casi, guardando i "precedenti", si dovrebbe tacere per pudore. Nessuno vuole giocare alla "Vergine delle Rocce", ma non si può neppure pensare che ci sia una realpolitik che agisca come sbiancante delle coscienze. Far finta di niente, specie quando si finisce per ritenere certi comportamenti una prassi, assumendo di conseguenza un atteggiamento assolutorio, credo che sia inconcepibile.