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21 giu 2011

Non mi stupisco

di Luciano Caveri

Sarebbe ipocrita se non annotassi qui qualche pensiero su di una vicenda di cui hanno parlato i giornali (ieri la "Gazzetta matin", oggi "La Stampa") e che riguarda una diffamazione che è ancora nella fase di richiesta di rinvio a giudizio. Come spesso capita in Italia, gli atti dell'accusa, ancora prima di finire all'esame di un giudice, finiscono sui giornali. Non me ne stupisco, conoscendo bene i meccanismi del giornalismo: basta che chi ha le carte le porti ad un giornalista, allettato dallo "scoop" o presunto tale a seconda della "linea editoriale" del suo giornale e questo innesca a catena il successivo interesse.  Neppure mi stupisce di essere citato negli articoli perché "compagno" (nel senso di convivente) dell'accusata ed ex "datore di lavoro" della querelante, pur non figurando in nessun atto dell'inchiesta. Si tratta del bagaglio di "onori ed oneri" di chi faccia una vita pubblica e già in passato ho provato i pro e i contro di questa posizione che ti espone alla legittima attenzione dei media e non mi colpisce di certo che, in questo contesto, alcuni colleghi in politica gongolino, perché anche questo fa parte delle regole del gioco. Saranno dunque i giudici a stabilire fatti e circostanze. Osservo sommessamente ma inutilmente che l'interesse sul fatto in esame non è proporzionato. Se ne accenno qui è per un puro esercizio di cronaca, perché in certi casi è il silenzio a dar adito ad interpretazioni malevoli.