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31 mag 2011

Fra il serio e il faceto

di Luciano Caveri

Sarà il fatto che il passato è sempre più ridente del presente o esiste davvero una reale possibilità che gli adolescenti odierni siano un pochino più imbranati - a dispetto della vulgata che vorrebbe esattamente il contrario - di quanto fossimo noi quando avevamo la loro stessa età? L’interrogativo si pone osservando - spero che non sia un'impressione solo soggettiva - l'approccio verso il motorino a quattordici anni. Le cose per me, nella primavera del 1973, andarono così: compiuti i quattordici anni alla fine dell'anno precedente cominciai (non c'era bisogno del patentino e neppure mettevamo il casco…) a pressare mio padre in vista dell'estate successiva, sostenendo che senza il cinquantino ero un uomo morto. I patti furono: «tu non ti fai rimandare e io ti compro la moto che vuoi», vale a dire il mitico "Beta 50 cross". Venni rimandato e - me l'ero cercato - passai mogio mogio gli ultimi giorni di scuola, sino a che dopo il pranzo di classe (penso svoltosi a Busseyaz) rientrai a casa, dove mio padre mi fece l'incredibile sorpresa di regalarmi egualmente il motorino. Una sorta di incancellabile lezione morale. Nessuno dei due miei figli adolescenti, Laurent che viaggia verso i quindici anni e Eugénie che si approccia ai quattordici, pare interessato a prendere il "patentino" e ad avere il motorino e questo crea in me un vero e proprio attonimento. Per me il motorino aveva un significato principale: accrescere la mia indipendenza e questo di fronte al fatto oggettivo che mai i miei genitori mi avrebbe scarrozzato avanti indietro in macchina per le mie necessità. Dunque più colpa nostra che li viziamo che loro. Ma certo che, maledetta nostalgia, aggirarsi con il vento nei capelli...