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16 dic 2010

Verso il voto di fiducia

di Luciano Caveri

"Fiducia" viene dal latino "avere fede", intesa come "lealtà" e non è male ricordarlo con l'approssimarsi del passaggio parlamentare decisivo per il Governo Berlusconi. Conosco bene la procedura "tecnica": in aula, in una Legislatura quando ero Segretario di Presidenza, ero chiamato a fare la "chiama" (l'appello nominale dei deputati in ordine alfabetico) per effettuare la "conta", come si dice in gergo. Non bisogna stupirsi che ci siano dei "venduti" in questo passaggio: è il vecchio "trasformismo" italiano che sancisce il fallimento del sistema elettorale "finto maggioritario". Se anche Silvio Berlusconi evitasse la sfiducia, governerebbe con numeri troppo risicati e vivacchierebbe con la paura continua di agguati alla Camera sulle leggi importanti. Per altro l'opposizione è debole e divisa e non è solo una questione di leadership. «Annamo bene»: l'espressione nel vernacolo della Capitale credo rappresenti lo stato d'animo dominante in un'opinione pubblica sconcertata. Mai demordere, tuttavia. Scriveva anni fa Alessandro Galante Garrone: «Può valere, anche e soprattutto in giorni come questi, l'ammonimento di Calamandrei: "Non è con l'irridere la politica, col disprezzarla e coll'estraniarsene che la politica si risana: bisogna entrarci e praticarla onestamente e resistere allo schifo". Non è necessario, indispensabile andare per questo in Parlamento o iscriversi a un partito. Ma sì, resistere allo schifo: purché attivamente, con tutti i modi, anche più modesti, dei quali si dispone. Non rassegnarsi, mai». Non solo a Roma.