Libertà d'informazione
Sono stato fra i fondatori e il primo Presidente del sindacato dei giornalisti valdostani, dopo avere per anni frequentato la "Subalpina" a Torino e partecipato a Roma a riunioni sindacali dei giornalisti "Rai" e soprattutto della "Fnsi - Federazione nazionale stampa italiana".
Per cui, conoscendo i contratti e la loro evoluzione e vizi e virtù della stampa italiana (nel senso vasto del termine, compreso il settore radiotelevisivo), capisco la voglia di protestare a difesa di quell'articolo 21 della Costituzione, che più di altri risente della polvere del tempo e poco conta l'interpretazione evolutiva.
E, tuttavia, come negare che la situazione italiana sia anomala?
L'impressione è che un tema bipartisan sfoci infine in una semplice manifestazione antigovernativa, che è un modo rozzo di approcciare un nodo cruciale e che non consente di trattare un argomento che forse potrebbe avere più consensi, pensando in particolare a quel dopo Berlusconi che prima o poi verrà e che spariglierà le carte.
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Commenti
Stare "sul pezzo"
Il punto non è stabilire se Patrizia D'Addario potesse entrare, opportunamente o meno, nell'arena per combattimenti clandestini di Michele Santoro. Quello era contorno, era marketing virale, era continuare a circumnavigare la questione di fondo, rifiutandosi categoricamente e scientemente di affrontarla. Era vendere fumo, a un'opinione pubblica che ormai ha drammaticamente perso qualsiasi differenza con gli indigeni incontrati dai “conquistadores” all'arrivo nel nuovo mondo. Nel salotto irrompe un imbonitore tv, bravo o meno, non fa differenza, agita una perlina di vetro (e mica di Murano, eh) alla stregua del pendolino di Maurizio Mosca e ti convinci che è un diamante. Guarda come brilla, guarda come luccica. Ora, i fedayn della libertà d'informazione sosterranno che la D'Addario – in Italia - non l'aveva mai intervistata nessuno, che perfino “France 2” le ha dato asilo prima di un canale del nostro paese. Possibile, ma è davvero faticoso trovare una differenza, anche solo estetica, tra l'Escort della scuderia Tarantini e una delle tante T&A (per info sull'acronimo, citofonare Keith Richards) uscite dalla casa del Grande Fratello. Piatto ricco, mi ci ficco. Essere pagata solo per parlare? Vamos, come scriverebbe quel paraculo stilistico di Andrea Scanzi. Che dite, Patrizia “Rubber Lips” D'Addario è stata nominata e buttata fuori da Palazzo Grazioli e questo rende tutto un po' diverso? Per carità, se ritenete che la classe politica italiana sia allergica al vello pubico, in tutte le sue declinazioni cromatiche, fate pure. Però, per favore, smettete allora di firmare petizioni in cui chiedete la verità sulla strage di Bologna e date fuoco a quei libri sulle scie chimiche impilati sul comodino. Il bandolo della matassa è assolutamente altrove, ben nascosto tra le mille pieghe di altrettante nefandezze che abbracciano i media italiani più forte di buonanima Patrick Swayze con Demi Moore in “Ghost”. Sì, perché quello che va in onda tutti i giorni, da Palermo ad Aosta, “Annozero” compreso (se non, a volte, in testa), ha smesso di essere giornalismo. Da tempo, purtroppo. E' come se fossimo perennemente sintonizzati sul canale tematico “Regolamenti di conti” e qualcuno, un'entità indefinita come il cachet di Baudo a Sanremo, ci avesse privati del telecomando, per cambiare o spegnere. Il Direttore della terza rete critica Santoro, lui difende Travaglio, Berlusconi li infama entrambi, il Dirigente del personale Rai non firma i contratti... Signori, nella bolgia di un girone dantesco si respirava più ordine. Oltretutto, gli attori di questa perversa metastasi catodica sono imbattuti quanto Schumacher nella rivisitazione dell'orwelliana “Fattoria degli animali”: “ognuno ha diritto ad intervenire, ma se la pensa come il conduttore, può parlare qualche minuto in più”. Nel saloon a 16:9, chi urla più forte e chi sputa più lontano, vince. Chi paga il canone, vada fuori a fumare, e senza dar troppo fastidio, che qui, sotto i riflettori, c'è da sistemare qualche faccenda, da far tintinnare le ossa di un guardaroba di scheletri, da mettere in piazza liquido seminale e registratori nascosti. Se poi non fuma, vada a vedere se ha dei nuovi messaggi privati su “Facebook”, oppure a compilare due-trecento schedine della nuova variante delle “tre carte” resa legale dal governo, il “Win for life” (subito ho temuto che il premio lo consegnasse Gates!). L'informazione è finita, come una partita di calcio sui tre fischi. E' rimasta solo, per l'appunto, la tifoseria, con tutto il suo variopinto, quanto deleterio, armamentario. Fischi, armi proibite, messaggi subliminali come un uppercut di Marvin Hagler. Hooligans di questo, o quel potente, sia esso politico, industriale, o banchiere. Giullari senza pari nell'arte della notizia precotta e della domanda che non prevede risposta, o si autorisponde, che facciamo pure prima e andiamo in pubblicità subito. E noi, a chiedere ancora, né più, né meno di una Escort nel lettone di Putin. Ad appassionarci a un motore in fuorigiri. A credere che in quel groviglio di figuri in perenne piano americano, dal cachet che fa una pernacchia al fatturato di uno stato africano, ci sia un novello Cronkite, solo perché si dice abbia simpatie di sinistra. A discettare sull'etica di una meretrice. A imitare Mourinho sparando a raffica luoghi comuni come “eh, ma a un certo punto, per un uomo politico, la forma diventa sostanza”. A fare gli spilloni Voodoo sul fantoccio del direttore del TG1. A sperare che Rai3 superi tutte le altre cinque reti in termini di audience. A trovare qualcosa in cui riconoscersi in un servizio di “Verissimo”, vicino alle nostre vite e ai nostri problemi, come una barzelletta di Bombolo in una sinfonia di Beethoven. A chiederci se Daria Bignardi paghi la bolletta del gas, come noi, o se qualcuno invada barbaricamente le Poste per lei. A idolatrare, o maledire (a seconda dei punti di vista), Giampiero Galeazzi per aver insultato il portinaio del suo palazzo. A esultare per un film in cui la degenerazione della televisione italiana è raccontata da Lele Mora, mentre il telefonino gli squilla continuamente al suono di “Faccetta Nera” (che, caro Gandini, è come intervistare Mengele sui misfatti del nazismo). A sperare che nostra figlia si sposi con Costantino. A pensare che senza la De Filippi e Costanzo le nostre vite sarebbero più noiose. A ritenere uno strumento di lotta le ingiurie di Sabina Guzzanti in piazza. A pensare che il caso Boffo sia, anzitutto, una vigliacca aggressione. A non capire: che la libertà d'informazione non va difesa, ma conquistata ogni giorno e che, forse, oggi, sui nostri schermi, passa semplicemente quello in cui ci piace specchiarci.
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e comprendo il disagio rispetto alla manifestazione, come del resto condivido l'amarezza di Napolitano in merito all'assenza in Italia di un dibattito politico più civile.
Spiace constatare che...
ormai non ci sia più nessun rispetto delle regole, tantomeno tra i giornalisti...
In Italia non c'è alcun rischio per la libertà di stampa, tanto meno in Valle: e tu lo sai bene, visto come sei stato trattato da persone che definire "colleghi" è far loro grandi complimenti.
Francamente mi sto chiedendo, da un bel po', cosa servono, ad oggi, ordine e sindacato: questa professione non è assolutamente tutelata...
In effetti...
credo che non sia solo il problema della libertà di stampa, stretta sempre di più dalla crisi dei giornali tradizionali e dall'anomalia di un duopolio radiotelevisivo che ormai si è fatto monopolio, ma anche - come giustamente osservato - dalla stranezza di un Sindacato unitario che stenta ormai ad essere rappresentativo (pensiamo al problema della disoccupazione in Valle e al grottesco arrivo di professionisti esterni) e di un Ordine professionale che non riesce più a contenere le espressioni giornalistiche, specie con l'avvento del Web che dilada e disperde il tradizionale concetto fisico di "redazione". Aggiungerei poi i "taglieggiamenti" dell'ente previdenziale verso i giornalisti che un tempo erano noti come pubblicisti e si trovano "pelati" dei pochissimi guadagni senza sperare, per contro, in qualche vantaggio in età da pensione.
Per cui si protesta contro Berlusconi, che certo è espressione dell'irrisolto e semmai crescente conflitto d'interesse, facendone capro espiatorio di mali che richiederebbero approfondimenti più forti e decisivi - che se personalizzati perdono la loro carica di problematicità, diventando, come avverrà in Valle, una vetrina delle opposizioni le più eterogenee - per non perdere la credibilità della professione.