February 2023

Franchi tiratori nell’ombra

Non ci sono vincitori nel voto che ieri sera ha impedito il decollo del Governo Testolin e non lo scrivo perché sarei stato membro di questo nuovo Esecutivo.
Ad essere sconfitta è, infatti, la credibilità della politica intera, quando nasce l’impressione che i due voti mancanti allo schieramento di maggioranza non siano stati frutto di due franchi tiratori in libertà, ma di una trappola congegnata.
Spero davvero che questa ricostruzione, su cui nella rabbia del momento ci si è attardati nella tarda sera, sia infondata e che si sia trattato di un errore, cui si sarebbe sommato uno sfogo irrazionale e infantile di qualcuno.
Quel che è certo è che l’esito è pessimo e spinge verso elezioni anticipate, che nuocerebbero anche agli eventuali mandanti e di certo agli anonimi che hanno colpito nell’ombra, creando per la seconda volta - come già nella scorsa Legislatura interrotta anzitempo - un vuoto di potere letale in un momento politico pieno di argomenti importanti e di dossier complessi che esigono risposte.
Spero che si possa in breve reagire all’evento, ricostruendo i fatti (compreso l’attardarsi sospetto sulle modalità di voto) e trovando una soluzione per il rispetto delle persone e delle istituzioni valdostane.
Chi alimenta una logica da cupio dissolvi, cioè una volontà masochistica di autodistruzione,
si guardi allo specchio.

L’uovo di Colombo

Confesso di essere un frequentatore dei supermercati, come li si chiamava una volta agli albori della loro nascita, quando erano rari. Oggi hanno diverse taglie e quelli che fanno più impressione sono gli ipermercati, che raccolgono una varietà merceologica - penso si dica così - che intimorisce. E restano anche, fatti salvi i prodotti standard di respiro ormai mondiale che si trovano ovunque, una delle chiavi di lettura dei Paesi che si visitano perché si trovano merci che connotano e diventano cartina di tornasole più di altro degli uso e dei costumi.
Quel che mi fa colpisce ormai è la tempistica stagionale che anticipa sempre di più, dovuta ad ovvie ragioni di marketing. Così già da qualche giorno sono spuntate da noi le uova di Pasqua e sembra ieri che si esaurivano le scorte dei panettoni natalizi.
Visto che mi tocca scrivere per mantenere il ritmo, guardando queste uova stipate nelle scansie, mi è venuta in mente una espressione che non dovrebbe mai dimenticare e può risultare utile alla bisogna: l’uovo di Colombo.
Il personaggio interessato è proprio lui, Cristoforo Colombo, il grande navigatore che, tra l’altro, ma lo dico per pura vanagloria, da alcune ricerche è risultato essere amico di un mio antico avo suo coevo, il celebre cartografo genovese Nicolò Caveri.
Ma torniamo all’uovo. Cristoforo Colombo era da poco tornato in Europa dalla sua più celebre esplorazione che, alla ricerca del passaggio a Ovest verso le Indie, lo aveva portato alla scoperta dell’America.
Per un suo impegno ufficiale quando forse non si capiva l’importanza delle sue scoperte, Colombo venne chiamato nella dimora del Cardinale Mendoza per una cena in suo onore. Colombo si ritrovò così al tavolo con alcuni gentiluomini spagnoli che, però si dimostrano scettici sulla sua impresa. Così Colombo — con un gesto che diverrà leggendario - prese un uovo e chiese loro per sfidarli di metterlo in posizione verticale sul tavolo. Ognuno prova e riprova più volte, ma invano. Infine, Colombo diede un colpo al fondo dell’uovo sullo spigolo del tavolo appiattendone la superficie quindi pose l’uovo sul tavolo, che restò in piedi infine fermo ed è questa la soluzione che ha creato il modo di dire.
Trovo che la semplicità del gesto, ovviamente beffardo, andrebbe adoperato in molte occasioni della vita. Capita quotidianamente non solo di trovare chi critichi a vanvera in questi mondo popolato in più sui di “bastian contrari”, oggi star sui Social. E ci sono - quanti ne ho incontrati in gangli vitali della burocrazia - i complicatori affari semplici, messi alla berlina dal celebre Fantozzi, il travet inventato dal compianto Paolo Villaggio.
Ogni giorno e in mille occasioni incontriamo coloro che amano mettere la sabbia negli ingranaggi, si compiacciono delle procedure le più bizantine, obbligano a vere e proprie acrobazie per risolvere questioni elementari. Mi capita di questi tempi per sbloccare una pratica assai ordinaria e sono costretto a firme ripetute, a dichiarazioni della mia identità, a formulari antiriciclaggio e - essendo politico e in quanto tale sospetto - ad ulteriori documentazioni che immagino servano a dimostrare che non…rubo.
Ogni volta vorrei raccontare quanto risolvibile in fretta, anche senza avere sulla scrivania l’uovo di Colombo.

La Festa della Valle d’Aosta il giorno dopo

Scrivo oggi ex post della Festa dell’Autonomia, perché ieri - nel cuore della polemica politica contingente - ero ancora sotto choc e anche investito dalle critiche e dal disagio di tante persone amiche per un voto in Consiglio regionale, che naturalmente ha sconcertato anche me.
Guardo avanti come necessario e non mi attardo sulle polemiche, ma annoto solo che ”franchi tiratori” è un termine settecentesco e designava gli antesignani degli odierni cecchini. Dal contesto bellico è passato al linguaggio politico e giornalistico italiano. Ma mentre in guerra i franchi tiratori agiscono a supporto della loro fazione, i franchi tiratori in politica usano il segreto dell’urna per agire contro la loro stessa parte politica. C’è una bella differenza fra imbracciare il fucile per il proprio esercito e invece usare la pallottola/scheda elettorale come fuoco amico per impallinare alla schiena un alleato.
Chiusa parentesi, torno all’Autonomia e alle diverse necessità da evocare nel corso di una Festa che nasce per ricordare lo Statuto. Per un certo periodo, su mia iniziativa, venne celebrata una Festa più profonda il 7 settembre, data in cui si metteva assieme l’antico e cioè la presenza in Valle d’Aosta dei Savoia per le udienze in occasione di San Grato, Patrono della diocesi, con il Decreto luogotenenziale del 1945, che è il seme da cui fruttò lo Statuto. A differenza della celebrazione di ieri, tutta ufficiale e ristretta a poche centinaia di persone, l’idea era quella di una vera e propria festa popolare. Durò poco per ostilità politiche su cui non torno.
Ma, pensando a ieri, ne confermo la bontà, perché una Festa su una data storica più significativa e con una comunità davvero coinvolta sarebbe un punto di riferimento utile per celebrare il nostro senso identitario partecipato, senza il quale le ragioni politiche rischiano di non avere più quella base di conoscenza e di consapevolezza che sono le fondamenta stesse della nostra Autonomia e anche della necessità di espanderla nel tempo.
Ricordo, avendo vissuto le esperienze elettive che ho avuto, che a Roma e a Bruxelles bisogna sempre spiegare la nostra Autonomia, affermandone le ragioni condivise dal nostro popolo, altrimenti la Politica sarebbe solo un’espressione difensiva di diritti acquisiti ormai tanti anni fa e non un processo dinamico e vivente in continuo aggiornamento.
A diritti - lo dico sempre - corrispondono doveri. Il dovere di capire la nostra Storia, di sapere cos’è lo Statuto, di essere attenti alle particolarità linguistiche e culturali, di avere cura a vantaggio della nostra economia della nostra Montagna, di far passare alle nuove generazioni il messaggio della fierezza di essere valdostani con la libertà per tutti quelli che vivono qui di condividere i valori della nostra comunità.
Capisco quanto sia complesso e impegnativo, ma solo così la Festa attuale evita di essere un momento di soli discorsi ufficiali. Per altro ieri sono stati di qualità, in un momento in cui non era facile esprimersi in pubblico per la vergogna di una crisi ancora irrisolta e bene ha descritto la situazione con lucidità il Presidente della Regione Luigi Bertschy.
Ogni celebrazione va, comunque sia, inserita in uno sforzo personale e collettivo di alfabetizzazione autonomista, resa ancora più indispensabile in un mondo globalizzato, che non è in sé un male, perché siamo cittadini europei e del mondo, ma lo diventa se questo serve a sradicare e spersonalizzare noi e soprattutto i nostri ragazzi. Aggiungo solo che esiste di certo un ruolo della scuola, dalle scuole dell’infanzia all’Università valdostana, di lavorare bene sulla civilisation Valdôtaine e non per una questione di chissà quale indottrinamento, ma per fornire in modo oggettivo e pluralista le ragioni dell’esistenza stessa di una piccola Regione autonoma come la nostra.
L’Autonomia ha purtroppo nemici esterni e pure interni, sia per ragioni ideologiche che per semplice sciatteria e scarsa memoria. Per cui anche le famiglie - ciascuno di noi - si deve sforzare di fare il proprio e cioè quanto necessario per mantenere viva una comunità che già rischia grosso con fenomeni epocali come la denatalità che svuota le nostre culle.

Non sono su Facebook

Vivo senza Facebook e sono sopravvissuto felicemente, pensando come ci siano altre modalità per comunicare e occasioni più efficaci per indagare i misteri dell’animo umano e la complessità delle relazioni sociali. Per anni a dire il vero avevo pensato di entrarci e avevo persino creato un profilo rimasto morto. Poi ho preso tempo e infine, come dicevo, ho coscientemente desistito.
Par di capire che si tratti di una scelta di serenità, che mi ha convinto a restare nel più tranquillo mare di Twitter, sinché resisterà l’uccellino blu è garanzia di una certo maggior civismo nel comportamento. Poi chissà quali evoluzioni la tecnica ci fornirà: forse una vera Agorà elettronica, come ci ha promesso e per ora deluso il famoso Metaverso.
Ogni tanto, tuttavia, qualcuno più prosaicamente mi segnala quando mi attaccano su Facebook con qualche commento. In genere sono cattiverie, frutto quasi sempre di vecchie ruggini e qualche invidia. “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”, diceva il Sommo Poeta. Siamo nel canto III dell’Inferno e Dante se la piglia con gli ignavi ovvero coloro che sono stati in vita persone incapaci di scelte e di impegno. Ora vengono costretti a inseguire un vessillo bianco, mentre vengono punti in continuazione da insetti ripugnanti, come anime che non meritano né infamia né lode. Molte losche figurine che campeggiano sui Social, spesso anonime, lo meriterebbero.
Per altro se non leggo Facebook, perché dovrei - relata refero - arrabbiarmi? Ho imparato nel frattempo che i più rosiconi sono, spesso appunto ignavi, quelli che in politica c’erano stati e ne sono usciti anzitempo e attaccano chi è in carica per la loro struggente nostalgia nel non esserci. Il veleno negli scritti, se davvero si dimostra un elemento terapeutico, va valutato positivamente, quando serve a canalizzare così rabbia e frustrazioni. In certi casi si crea persino un livore da vecchio collettivo sessantottino e gli attacchi diventano comunicato stampa di partito, che ricordano certi volantini ideologizzati della mia giovinezza, fatti con il ciclostile del tempo che fu.
Fa sorridere, per sdrammatizzare, un celebre aneddoto. Si tratta di una battuta di Ettore Petrolini: un giorno il celebre comico venne fischiato dal loggione. Lui si avvicinò allo spettatore e gli disse in romanesco: «Io nun ce l’ho cò te ma cò quelli che te stanno vicino e nun t’hanno buttato de sotto»”.
Sono d’accordo che in certe occasioni - lo vedo anche in Consiglio Valle quando qualcuno trascende - andrebbe creato un vero e proprio cordone sanitario. Ci sono casi - e proprio i Social sono un campo fruttuoso di esempi - in cui la ribellione alla maleducazione e peggio alle cattiverie dovrebbe essere patrimonio comune non tanto a difesa del simbolo quanto di principi di rispetto e di educazione. Questo non vuol dire frustrare la sana polemica, cui non mi sottraggo mai, quanto fissare dei confini di civiltà e di quieto vivere.
Ormai viviamo in un’epoca di parolacce e alcune sono utili scorciatoie per sveltire la discussione d’un botto. Sono cresciuto in una società in cui la parolaccia non era così liberalizzata. Per cui ricordo da bambino di aver assistito a discussioni fra adulti in cui l’epiteto letale era contenuti nell’affermazione: “Sei ignorante!” oppure “Sei stupido!”. Con la differenza che l’ignoranza la puoi curare, meno si può fare per la stupidità, che si dice - nel vissuto popolare - che sia a sua volta peggio della cattiveria.
Spero si capisca la ricerca di un minimo di ironia su di un tema comunque serio.

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