November 2022

Informare senza vedere tutto nero

Con i colleghi di ALCOTRA (acronimo che sta per "Alpi Latine Cooperazione Transfrontaliera"), che comprende Valle d'Aosta, Piemonte, Liguria, AUVERGNE-RHONE-ALPES, Provenza-Alpi-Costa Azzurra, siamo saliti con la Skyway Monte Bianco sino ai 3.466 metri di Punta Helbronner.
L’occasione era il lancio del nuovo periodo di programmazione di Interreg Italia-Francia, che ci porterà sino alle porte del 2030.
Al Pavillon, con Arpa Valle d’Aosta e Fondazione Montagna sicura, abbiamo parlato di cambiamento climatico e nessun posto poteva essere migliore di un luogo simbolico a carattere europeo.
Proprio alla vigilia avevo letto su Internazionale quanto scritto da Elizabeth Kolbert sotto la voce “Narrazioni”. Eccolo: “Le narrazioni sono ‘storie’ socialmente costruite che danno un senso agli eventi”, fornendo così “una direzione all’azione umana”, osserva un articolo pubblicato di recente sulla rivista Climatic Change da un gruppo di ricercatori europei. Le narrazioni sul cambiamento climatico, scrivono i ricercatori, di solito “vedono tutto nero”. Spesso enfatizzano i pericoli. Quando non descrivono gli ultimi disastri (incendi, alluvioni, carestie), ne annunciano di ancora più gravi (incendi più grandi, alluvioni più estese, carestie che minacciano intere regioni). Questo approccio, sostengono i ricercatori, può essere controproducente: “Le narrazioni della paura possono diventare profezie che si autoavverano”. Se le persone credono che le cose possono solo peggiorare, si sentono sopraffatte. Se si sentono sopraffatte, tendono ad arrendersi, garantendo così che le cose andranno sempre peggio. Una dieta a base di cattive notizie porta alla paralisi, che produce altre cattive notizie”.
Parole importanti e condivisibili per i padrini del catastrofismo, che è ben diverso da chi informa della oggettiva drammaticità ma usa toni che finiscono per nuocere.
Ancora l’articolo nel suo equilibrio: “Quello che serve, invece, sono narrazioni che “diano alle persone la possibilità di agire”. Queste narrazioni dovrebbero proporre una “storia positiva e coinvolgente”, indicare “dove si vuol andare” e descrivere i passi per arrivare a questa destinazione metaforica. Anche le storie positive possono autoavverarsi. Le persone che credono in un futuro migliore sono più propense a impegnarsi per raggiungerlo. Quando si impegnano, fanno scoperte che accelerano il progresso. Lungo il percorso, costruiscono comunità che rendono possibile un cambiamento positivo. “L’ottimismo è una scelta”, sostiene Christiana Figueres, la diplomatica costaricana che ha guidato gli sforzi per far approvare l’accordo sul clima di Parigi. “Conoscete qualche sfida che l’umanità abbia affrontato con successo e che sia cominciata con pessimismo o disfattismo?”, si è chiesta Figueres in una conferenza di qualche anno fa. “Non ce n’è una”, ha detto, rispondendo alla sua stessa domanda”.
Applausi in favore di una informazione seria e di impegni fissati e non demagogici nel segno della sussidiarietà: ognuno può fare del suo nella sua famiglia e nella sua comunità, poi si sale la scala dal locale al regionale, dal nazionale all’europeo fino al globale. Livelli senza i quali opportunamente coordinati non si rema nella stessa direzione.

Il conto alla rovescia

È sempre molto difficile distinguere le reali radici di tutto ciò che è classificabile come “tradizione”. Quel che è certo è che c’è stato un punto di partenza, prima del quale una certa tradizione ancora non esisteva.
Ha scritto su questo Jean D’Ormesson: “Qualcuno ha detto che la tradizione è un progresso che ha avuto successo. Non bisogna mai dimenticare che quello che facciamo e diciamo diventerà tradizione per chi verrà dopo di noi.
Non ci si deve quindi accontentare di trasmettere ciò che si è ricevuto, bisogna aggiungere del nuovo. Così, ogni generazione abbandona una parte delle tradizioni del passato e aggiunge qualcosa di suo”.
Ci pensavo ora che stiamo entrando nel “Christmas mood”, come dicono gli anglofoni, mentre i francesi adoperano “Ambiance de Noël”. È in italiano? Non vado molto più in là di “clima natalizio” o “spirito natalizio”.
Come si fa a non citare il racconto di Charles Dickens: “Si vestì, col meglio che aveva, e uscì per la via. La gente si riversava fuori, com’egli l’aveva vista con lo Spirito del Natale presente. Camminando con le mani dietro, Scrooge guardava a tutti con un sorriso di soddisfazione. Era così allegro, così irresistibile nella sua allegria, che tre o quattro capi ameni lo salutarono: “Buon giorno, signore! Buon Natale!” E Scrooge affermò spesso in seguito che di tutti i suoni giocondi uditi in vita sua, i più giocondi, senz’altro, erano stati quelli.
Per la cronaca “capi ameni”, cioè persone bizzarre è espressione ormai del tutto sparita nel suo uso in italiano!
Nella mia infanzia esisteva sia l’albero di Natale, allestito con le sue luminarie fuori di casa, sia il presepe, che ho curato io stesso da bambino in un allestimento abbastanza impegnativo.
Oggi a casa campeggia in soggiorno un albero di Natale (facendo attenzione alla sua accensione per i costi dell’energia elettrica su cui vigilare) con il complemento subito sotto di un villaggio natalizio Lemax che, un pezzo all’anno, è costituito da miniature in plastica illuminate. Questo è un esempio di una novità nata direi per caso, che è già diventata tradizione perché mette di buonumore.
Ma ce n’è una seconda che fa sorridere e che serve ad allestire nel concreto e nell’immaginario l’avvicinamento al Natale. E che ha avuto anche, con tutto il resto, a far digerire i momenti grami della pandemia sotto Natale con quel senso di costrizione che rese ancora più difficili quelli momenti.
Mi riferisco al calendario dell’Avvento che da domani diventerà sino al 25 dicembre un appuntamento mattutino imperdibile, con l’apertura di una casellina al giorno.
Focus racconta chi lo inventò: “Il Calendario dell'Avvento fu inventato da Gerhard Lang, un editore protestante, originario di Maulbronn (Germania), nel 1908.
Al tempo in Germania c’era già l’usanza di aspettare la festa della nascita di Gesù facendo 24 piccoli pacchettini da scartare, uno al giorno, dal 1 dicembre al giorno di Natale. Ma Lang fece qualcosa in più: preparò un calendario con un disegno per ogni giorno. L’anno seguente introdusse il dettaglio delle finestrelle, dal cui interno spuntavano angeli o piccoli Gesù Bambino da ritagliare o assemblare”.
Ormai se guardate sul Web c’è di tutto, più profano che sacro, come calendario dell’Avvento.
Senza essere irrispettoso, io avrò ogni giorno da domani a Natale un pezzo di cioccolato, mia moglie prodotti di bellezza, Alexis snack americani. Per gli adulti anche una birra al dì.
Pensierini che conducono al Natale con un vero e proprio conto alla rovescia.

Registrazione Tribunale di Aosta n.2/2018 | Direttore responsabile Mara Ghidinelli | © 2008-2021 Luciano Caveri