October 2022

Esserci ancora

Questi giorni sono dedicati al ricordo delle persone che non ci sono più e penso che tutti riflettiamo in qualche modo nell’occasione sul mistero della morte. Niente di nuovo, pensando che il culto dei morti è antico quanto l’umanità. Anche se molto cambia a seconda delle epoche e delle culture.
Noto, ad esempio, di questi tempi una crescita della scelta di non voler più i propri funerali. C’è chi chiede un annuncio post mortem e talvolta neanche più quello. Così come la scelta della cremazione (che ho chiesto quando verrà il momento) coincide talvolta con la decisione di non aver neanche più una tomba con una dispersione delle ceneri in un luogo amato.
Osservava già qualche anno fa Tiziano Terzani: “Quand’ero ragazzo era un fatto corale. Moriva un vicino di casa e tutti assistevano, aiutavano. La morte veniva mostrata. Si apriva la casa, il morto veniva esposto e ciascuno faceva così la sua conoscenza con la morte. Oggi è il contrario: la morte è un imbarazzo, viene nascosta. Nessuno sa più gestirla. Nessuno sa più cosa fare con un morto. L’esperienza della morte si fa sempre più rara e uno può arrivare alla propria senza mai aver visto quella di un altro”.
Difficile da far capire questi straniamento a chi ha bisogno, invece, di un luogo fisico d’incontro e confesso di aver visto nei miei viaggi cimitero di diverse confessioni religiose che sono evocativi e profondi. Anzi, consiglio sempre e non per scherzo di non farsi scrupoli a visitare dai cimiteri monumentali ai camposanti dei paesini di montagna, da certi cimiteri mediterranei sul mare a verte sepoltura nelle chiese più prestigiose. Può essere anche una sorta di medicina. Scriveva Emil Cioran: “Alla minima contrarietà, e a maggior ragione al minimo dispiacere, bisogna precipitarsi nel cimitero più vicino, dispensatore immediato di una calma che si cercherebbe invano altrove”.
Ha ragione Valérie Perrin: “Credo che ci siano due modi diversi per guardare un cimitero: come un luogo di tristezza e come un giardino "des esprits", un posto pieno di fotografie, di fiori ma anche di epitaffi che parlano d'amore, di bellezza e di resurrezione. Il cimitero è un luogo di tristezza ma anche di struggente poesia”.
Da bambino questa storia del periodo dei Morti mi turbava ed erano giorni con cattivi pensieri. Le visite ai cimiteri con le tombe di amici e parenti erano un rito ripetitivo e mi stupivo di quel mondo che si affannava nei cimiteri con una vera e propria alacrità fra tombe e loculi, che risultava stridente con la solennità dei luoghi dell’eterno riposo.
Ricordo un pensiero fugace, quasi infantile, in una frase di Antonio Tabucchi che si occupava di chi lì ci sta: “Cosa fanno le persone importanti in un cimitero? Dormono, anche loro dormono uguale uguale alle persone che non contarono niente. E tutti nella stessa posizione: orizzontali. L’eternità è orizzontale”.
Pensare alle persone scomparse, specie quelle più care ma non solo loro, alimenta una straordinaria macchina del tempo, che ci consente di evocare momenti e luoghi. E anche di pensare banalmente che pezzettini di chi non c’è più sono rimasti dentro di noi e basta poco per farli rivivere, fosse anche per un momento infinitesimale, che ti fa pensare che con te ci sono ancora o meglio sempre.

Le canzoni di una vita

Le canzoni sono la colonna sonora della nostra vita. Basta ascoltarne una e se ci appartiene in qualche modo si accende una lampadina che la collega a qualche evento o più semplicemente riporta alla memoria musica e parole con incredibile spontaneità.
Scrisse argutamente Eugenio Scalfari: “La canzonetta custodisce la memoria. A guardar bene è un contenitore di memoria, probabilmente il più perfetto a stimolare quella parte del cervello che conserva i ricordi del passato, i volti, i luoghi, le vicende, gli amori e i dolori, insomma la biografia delle persone”.
Aggiungeva nella logica pluriuso il grande George Moustaki: “Una canzone? “E teatro, film, romanzo, idea, slogan, atto di fede, danza, festa, lutto, canto d’amore, arma, prodotto deperibile, compagnia, momento della vita”.
Dico sempre e ribadisco che anche su questo nessuna generazione precedente a quella della seconda metà del secolo scorso ha vissuto anche in questo rivoluzioni tecnologiche senza eguali. La solfa è sempre la stessa e volgarmente si dice che siamo passati - anche se so che l’espressione non è esatta - dall’ analogico al digitale. Certi apparecchi con cui si ascoltava la musica erano più meccanici nel senso vero e proprio!
Oggi la musica la si può ascoltare con diverse modalità e con una ricchezza di offerta che fa impallidire noi che andavamo a comprare dischi e musicassette e poi ci siamo ingegnati con walkman, CD, MP3 e iPod sino agli attuali streaming online.
La televisione e la radio sono stati una presenza rivoluzionaria con l’uscita dal monopolio Rai negli anni Settanta. Trasmissioni come l’ancora vivo Festival di Sanremo (che sembra ormai il paleolitico rispetto a XFactor e simili) e il Disco per l’Estate e il Festivalbar dettavano la linea.
Oggi mi pare che, a parte l’ancora crescente dominio angloamericano, si affermi una gigantesca kermesse di canzoni usa e getta con capacità delle major musicali di far emergere successi non solo per abili capacità di costruire personaggi, ma per campagne di marketing che impongono canzoni che appaiono dappertutto e sono spesso prodotti di laboratorio (in sala d’incisione, beninteso).
Eppure, cari lettori, basta poco per capire che cosa distingua il grano dalla pula e i fuoriclasse emergono come esempio per i “nuovi” che spesso durano il tempo di un cerino.
Nelle scorse ore, a proposito di canzoni rievocative, mi sono goduto il concerto del duo - cominciarono già in coppia agli esordi! - Francesco De Gregori e Antonello Venditti. Non solo è stato un tuffo in canzoni che sono state un caposaldo nei
miei decenni passati, ma la scoperta banale di come una band con professionisti di gran calibro e cantanti intonati efficaci facciano faville.
Come ha cantato il grande Francesco Guccini: “La canzone può aprirti il cuore | con la ragione o col sentimento | fatta di pane, vino, sudore | lunga una vita, lunga un momento. | Si può cantare a voce sguaiata | quando sei in branco, per allegria | o la sussurri appena accennata | se ti circonda la malinconia | e ti ricorda quel canto muto | la donna che ha fatto innamorare | le vite che tu non hai vissuto | e quella che tu vuoi dimenticare”.

Ci vorrebbe un bravo cronista

Ci vorrebbe un bravo cronista per ricostruire le vicende giudiziarie di questi anni su due argomenti: la vicenda Casino-Corte dei Conti con implicazioni sul mondo politico e inchieste e sentenze sulla presenza della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta sempre nell’impatto sui politici che vennero implicati.
Ebbene, questi terremoti veri e propri, che hanno squassato vite personali e percorsi politici, hanno dato un’immagine negativa della Valle d’Aosta ampiamente sfruttata da dentro e da fuori. Le notizie negative fecero scalpore, le sentenze favorevoli e i proscioglimenti molto meno.
La Giustizia ha fatto giustizia, ma dopo tempi troppo lunghi e con conseguenze non sempre riparabili.
Chi come me seguì all’inizio degli anni Ottanta l’”affaire Casino” ricorda bene come la montagna (di accuse) partorì topolini (condanne). Per cui è logico che le riforme della Giustizia affermino sempre meglio la presunzione d’innocenza.

Sovranità alimentare e Merito

Non sopporto più le polemiche politiche inutili, quelle che ascolto nel dibattito politico italiano su questioni alla fine futili e ripetitive e mi innervosiscono quelle che subisco talvolta nel mio lavoro in politica, quando parte dell’opposizione è inutilmente aggressiva nel metodo in un gioco delle parti che diventa svilente e non arricchente anche nel merito.
Pensavo al can can nato attorno a due termini aggiunti alla definizione dei Ministeri nella composizione del Governo Meloni.
Il primo è “Sovranità alimentare” aggiunto all’Agricoltura, il secondo è “Merito” appiccicato a Istruzione. Apriti cielo: l’etichettatura ha indignati una parte della Sinistra, che pare farsi incendiaria prima di pensare.
Sulla prima questione - come ben spiegato da Alessandro Trocino sul Corriere - siamo di fronte ad una ricopiatura, avendo Romanha guardato a Parigi: “Anche i francesi hanno dato lo stesso nome a un ministero: Souveraineté alimentaire. Certo, dalle parti di Macron non sono estremisti di sinistra, ma neanche post-fascisti, come i francesi amano definire Fratelli d’Italia”.
Poi aggiunge: “Questa locuzione è stata usata per la prima volta nel 1996 al summit mondiale per l’alimentazione da Via Campesina, che riunisce 182 organizzazioni di contadini di 81 Paesi, per contestare il Wto, appena nato. L’idea era quella di proporre un’alternativa alla liberalizzazione del commercio agricolo e all’industrializzazione dell’agricoltura e dell’alimentazione. Quello contro cui si combatte è la mondializzazione (o globalizzazione) delle politiche agricole. Il modello contestato è quello degli scambi internazionali che grazie all’economia di scala riducono i costi ma tolgono sovranità e soldi ai contadini e alle organizzazioni locali, per favorire le multinazionali agroalimentari”.
E ancora: “C’è anche una definizione specifica data da Via Campesina della sovranità alimentare: «Il diritto delle persone a produrre in maniera autonoma alimenti sani, nutrienti, adatti al clima e alla cultura, utilizzando risorse locale e con strumenti ecologici, principalmente per rispondere ai bisogni alimentari locali e delle loro comunità» “.
Chiosa Michele Serra su Repubblica: “Capitasse, dunque, che la destra scippasse alla sinistra, magari storpiandolo in chiave nazionalista, il concetto di sovranità alimentare, la colpa sarebbe soprattutto della derubata. Molto distratta”.
Sulla questione del merito è, sempre da Sinistra, Pietro Ichino a sgonfiare il caso: “La scuola non può essere fattore di uguaglianza sociale se non impara a valutare e premiare il merito molto più di quanto non lo faccia oggi. Più in generale, è l'intera amministrazione pubblica che ha bisogno di questa rivalutazione del merito al proprio interno; e la sinistra dovrebbe far proprio questo obiettivo perché di un'amministrazione che funziona bene hanno bisogno soprattutto i più deboli e i più poveri”.
E sempre sulla scuola: “Potenziare l'istruzione pubblica significa, certo, investire di più sull'edilizia e le attrezzature didattiche; ma significa soprattutto investire sul miglioramento della qualità dell'insegnamento, cioè sulla capacità e l'impegno degli insegnanti. Questo implica non solo una formazione migliore di questi ultimi, ma anche inviarli a insegnare dove occorre e non dove fa comodo a loro. Implica far sì che la struttura scolastica sia capace di valutarne la prestazione per poter retribuire meglio i più bravi e allontanare dalle cattedre quelli che non conoscono la materia affidata loro, o non sanno insegnarla, o più semplicemente non hanno voglia di farlo. E per valutare gli insegnanti occorre anche rilevare capillarmente l'opinione espressa su di loro dalle famiglie e dagli studenti. In altre parole, potenziare la scuola significa mettere al centro il diritto degli studenti, in particolare dei meno dotati, di quelli che non hanno alle spalle una famiglia colta. Nella scuola pubblica italiana tutto questo finora non si è fatto, perché vi si oppongono i sindacati degli insegnanti”.
Ancora più ruvido quest’oggi sul Corriere Angelo Panebianco: “Le alzate di scudo preventive contro il merito, sono spiegabilissime. Perché chi volesse davvero affrontare questo problema dovrebbe occuparsi anche della qualità dell’insegnamento. Ossia, degli insegnanti. Per esempio, dovrebbe creare carriere su basi meritocratiche. Un tentativo in questa direzione lo fece tanti anni fa il ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer. Venne subito fermato dalla dura reazione della Cgil-scuola. Auguri al ministro competente se vorrà mettere le mani dentro quella tagliola”.
Aggiungo solo che - in una scuola che dev’essere attenta ad ogni alunno in difficoltà o in ritardo - bisogna evitare per contro che il meritevole non abbia gli strumenti per esprimersi al meglio ed è bene ricordarlo per evitare polemiche superficiali.

Registrazione Tribunale di Aosta n.2/2018 | Direttore responsabile Mara Ghidinelli | © 2008-2021 Luciano Caveri