July 2020

Decoro e civismo a Palazzo regionale

Skaters in piazza Deffeyes ad AostaIl senso delle Istituzioni, che deve andare a braccetto in politica con l'etica pubblica, è una cosa seria per tutti i cittadini ed è composto da molti aspetti.
Ci pensavo l'altro giorno nel vedere per l'ennesima volta un assembramento di giovani davanti a Palazzo regionale in piazza Albert Deffeyes, uomo politico del dopoguerra morto a soli quarant'anni. Lì sorgeva un tempo l'ospedale Mauriziano, mentre dagli anni Sessanta - con progettazione del 1958! - è diventato un simbolo dell'Autonomia valdostana.
Ebbene, la primissima volta che vidi ragazzi con i loro skateboard che sfrecciavano là davanti pensai ad una bella cosa e fu una mia ingenuità. Sarà che al Parlamento europeo, prima del pericolo degli attentati terroristici, avevo apprezzato quel clima gioioso che si respirava sia nelle vicinanze del Parlamento europeo a Bruxelles, ma soprattutto nello splendido cortile interno dell'emiciclo di Strasburgo, ma mi pareva che questa presenza di ragazzi fosse una sorta di pur inconscia vicinanza dei giovani verso le Istituzioni.

Se Aosta piange, Roma non ride

Paolo MieliConfesso che lo sconforto talvolta appare come un fantasma molesto. Lo è certamente per la situazione valdostana su cui ho perso gli aggettivi adatti ad illustrare una situazione che va presa in fretta in mani sicure, perché altrimenti le previsioni più cupe non basteranno a descrivere il futuro. L'ultima tegola è quella della Casa da gioco di Saint-Vincent, dopo una sentenza della Corte d'Appello di Torino che cassa il concordato ormai avviatissimo.
Se Aosta piange, Roma non ride. Leggevo Paolo Mieli sul "Corriere della Sera": «La vicenda del ponte di Genova e del rapporto con la famiglia Benetton ci rivela in fin dei conti soprattutto una cosa: Giuseppe Conte si sta appalesando come uno dei più straordinari illusionisti della nostra storia. Ipnotizzata la sua (peraltro consenziente) maggioranza, annuncia, dice, si contraddice, rinvia, alla fine poi ricomincia riportandoci al punto di partenza».

Orecchie dritte contro il grimaldello dell'Emergenza

Un'immagine dal film 'I guerrieri della notte'Sotto il titolo "Il rischio della democratura", il direttore di "Huffpost", Mattia Feltri, con lucidità si occupa di un tema fondamentale, così riassunto nelle prime righe: «In un Paese in cui il populismo sta al governo non si può stare tranquilli se il premier dichiara di voler prolungare lo stato d'emergenza fino a dicembre. Altri sei mesi d'arbitrio proprio no».
Prima di proporvi i ragionamenti annessi e connessi, sia chiaro che quando si parla di Assemblee elettive e del loro ruolo rispetto agli Esecutivi questo vale papale papale anche per i sistemi regionali, dove i presidenti di Regione, con le loro ordinanze, hanno usato strumenti simili ai decreti del presidente del Consiglio dei Ministri. Strumenti che sono stati usati senza un reale controllo di Parlamento e Consigli regionali. Ciò poteva starci, pur con molti dubbi, nel concitato esplodere della pandemia, oggi riproporre quel modello comprime ruoli e poteri costituzionali delicatissimi.

Solastalgia politica

Glenn AlbrechtMi è già capitato di parlare della "solastalgia", che è un disturbo d'ansia, una sorta di nostalgia che si prova quando l'ambiente fisico intorno a te cambia in peggio. La parola è stata inventata dal filosofo australiano Glenn Albrecht, che l'ha coniata qualche anno fa, ed è la combinazione della parola latina "solacium" che significa "conforto" e della radice greca "-algia" che vuol dire "dolore". La "solastalgia" indica proprio quel sentimento di nostalgia che si prova per un luogo amato, quando ci si accorge che sta cambiando e questo crea un senso di disagio.
Capisco bene che cosa significhi: pur non avendo mai avuto sintomi che indichino questa malattia, devo dire che spesso mi è capitato di avvertire un disagio simile. Due esempi per capirci: avendo un'immagine della mia infanzia della conca di Pila, ogni volta che la vedo oggi non riesco a sovrapporre quella memoria del passato con quanto è diventato quel paesaggio. Idem per i panorami delle vacanze estive ad Imperia, che oggi rivedo, con la cementificazione del porto turistico, come stravolta rispetto alle cartoline impresse nella mia memoria.

1960: nessuna fine del mondo sotto il Bianco

La copertina della 'Domenica del Corriere' ed alcuni adepti della setta di Elio BiancoAvevo poco più di un anno e mezzo sessant'anni fa come oggi. Dunque ero inconsapevole che su quel giorno incombesse il rischio della... fine del mondo! Se fosse stato così - spiace essere lapalissiano - non sarei qui a scriverne.
La notizia in sintesi estrema ed efficace la traggo da "Focus": "Il 14 luglio 1960, alle ore 13.45, per essere precisi il mondo doveva essere distrutto da un'arma segreta americana. Ne era convinto il pediatra italiano Elio Bianco. Credeva anche che l'apocalisse avrebbe risparmiato solo il Monte... Bianco, ovviamente. Con l'aiuto di 45 volontari, ci costruì sopra un'arca, dove una mezza dozzina di famiglie attese la distruzione finale... Invano".
L'annuncio era questo per capire il tenore: "E' stata profetizzata. La fine del mondo arriverà alle 13.45 del 14 luglio 1960. Un ordigno nucleare al mercurio esploderà, provocando terremoti, maremoti e devastazioni".

La camera dell'eco

Il particolare di una statua dedicata a Sant'Antonio AbateCapita di non avere espressioni adatte per spiegare un fenomeno. Per definire la situazione del tutto evidente di quel tam tam che serve a diffondere "fake news" in un battibaleno sui "social", ho spesso adoperato il vecchio termine di "catena di Sant'Antonio".
Per i pochi che non sapessero di che cosa si tratti, ricordo che sono anche nella mia esperienza (ne ricevevo parecchie da deputato) le lettere anonime con un testo con preghiera sconclusionato che invitano, per non rompere la catena per evitare la malasorte, ad inviare nuovamente quello stesso messaggio ad un certo numero di altri destinatari. Io queste lettere le cestinavo, ma moltissimi adempivano alle consegne per superstizione.
In origine - ecco il nome del fenomeno – sarebbe stato Sant'Antonio Abate (250-356 d.C.), eremita e personalità di spicco nella storia della Chiesa cattolica, a scrivere una lettera al duca di Egitto ammonendolo circa la persecuzione dei cristiani. In fondo alla lettera l'invito minaccioso ad inviare la lettera a tutte le altre autorità della zona. Il duca - dice la storiella - non lo fece e perciò morì, vittima del mancato ottemperamento di questo diktat.

Autostrade diventa pubblica: e il "gruppo Gavio"?

Par di capire che la società "Autostrade" - socio che controlla è la famiglia Benetton - diventerà a controllo statale, conseguenza delle vicende complicate di questi anni, con la punta dell'iceberg del "Ponte Morandi" ed altre dimostrazioni di mancata manutenzione, per non dire delle politiche tariffarie sempre più elevate e molto altro. Si potrà discutere sulla legittimità della scelta, ma ormai pare cosa fatta e come tale è bene capire le ricadute sul nostro territorio.
Riassumo: nel caso valdostano c'è la "Sav - Società autostrade valdostane SpA" che è la concessionaria - con un primo atto risalente al 1963 - dell'autostrada "A5 Quincinetto - Aosta" e del "sistema tangenziale" di Aosta (compresa quella galleria verso il Gran San Bernardo che ha reso problematici i bilanci). Chi decide è un privato: il "Gruppo Gavio", azionista di maggioranza, diventato il dominus anche per colpa della Valle d'Aosta - ed io so di chi - quando non comprò le azioni pubbliche degli Enti pubblici piemontesi nel momento in vennero vendute. Scadenza della concessione, mai soggetta a gara («per l'ultima volta» ha precisato la Commissione europea), è il 2032.
Ciò vale in tutto e per tutto per la "Rav - Raccordo autostradale Valle d'Aosta SpA" - nata con lo scopo di progettare, realizzare e gestire il raccordo autostradale fra la città di Aosta ed il Traforo del Monte Bianco con una concessione ufficializzata nel 1988. Chi decide è il "Gruppo Benetton", che è socio di maggioranza avendo acquisito dal pubblico - con la privatizzazione di "Autostrade" - il controllo del Traforo del Monte Bianco.

Il cittadino e la democrazia

Un gregge di pecoreMi metto dei panni del cittadino comune, che segue distrattamente la politica valdostana e non è mai stato addentro alle questioni in maniera minuta. Da quando sono fuori da ruoli elettivi - e sono ormai sette anni dopo ventisei anni di incarichi vari - mi rendo conto di ancor di più di come certi meccanismi siano di difficile comprensione e lettura per almeno tre ragioni. Ragioni che rendono complicata e persino ostacolano la scelta di partecipazione reale ed in molti casi la scelta di esercitare il diritto al voto attivo e passivo, cioè andare a votare e anche scegliere di candidarsi da qualche parte.
La prima ragione, banalissima, sono l'antipolitica e l'antiparlamentarismo. Malgrado tutto quello che ci si può raccontare, chi fa politica di questi tempi è come un lebbroso e più esperienza hai e meno vali ed è quanto non capita in nessun'altra attività.

La denatalità svuota una comunità

Il piedino di un neonatoLeggo gli ultimi dati "Istat" sulla demografia in Valle d'Aosta: dal 1° gennaio 2019 alla fine dello scorso anno la popolazione valdostana è passata da 126.098 abitanti a 125.501. Ricordo, come utile elemento comparativo, che i valdostani erano 85.900 nel 1861, 81.457 nel 1911, 94.140 nel 1951, 100.959 nel 1961, 119.548 nel 2001, 125.979 nel 2007 e si è avuto un picco di 128.591 nel 2014. A fronte di 841 nati ci sono state 1.392 morti e questo rafforza la "crescita zero" già registrata da tempo con una percentuale sempre più bassa di nascite. Il dato 2020 sarà ancora peggiore per l'ovvia ragione che a pesare saranno le persone morte a causa del "covid-19", che ha falcidiato in particolare la popolazione anziana, probabilmente riducendo quel tasso di invecchiamento che è altra caratteristica di una Valle d'Aosta che ha sempre più meno giovani.

Buonsenso sul "covid-19"

Mascherine monouso insieme ad un rosario appese allo specchietto di un'autoE' del tutto normale che ci sia una sorta di rilassamento rispetto ai rischi del "coronavirus". Da una parte per tutto, compreso il rischio tirato per le lunghe, si crea nella vita una sorta di assuefazione che ci rende più lassi. Dall'altra è parso di capire che il caldo ostacola il virus (mi sembra una delle poche cose su cui i virologi litigiosi fanno l'unanimità) e visto che fa caldo ci si può, ma certo è una presunzione, prendere una pausa.
Lo dico per me stesso e non per gli altri. La distrazione di una stretta di mano, la mascherina da cavare di tasca in fretta entrando in un bar, le mani sempre frizionate che prendono una pausa, meno paranoie se ci trova in un luogo affollato. Ce ne sono molti di posti e di occasioni con troppa gente non distanziate con Forze dell'ordine che dimostrano tolleranza, capendo il generale affaticamento.

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