Ormai è evidente che siamo tutti esperti di "coronavirus" e problematiche annesse e connesse. In mezzo alla folla carnevalesca, bastava drizzare le orecchie e ritrovavi spiegazioni e analisi degne del virologo più accademico. Ma, a fare ancora più attenzione, potevi anche nelle discussioni ritrovare tutta una serie di elementi antiscientifici, irrazionali e complottistici che segnano questi tempi fra disinformazione e superstizione, un mix micidiale.
Ecco perché ho apprezzato molto, nella miriade di commenti sul virus che si sta diffondendo e che minaccia anche la Valle d'Aosta, un pacatissimo articolo di Gianmario Verona, Rettore dell'Università "Bocconi", che fa l'economista e dunque fa un discorso di principio e di metodo che non fa una grinza.
Così osserva in un editoriale su "La Stampa": «Che cosa ci insegna il Covid-19 e in particolare il suo arrivo in Italia? Che siamo fragili e incapaci di far prevalere il pensiero critico di fronte all'immensità delle informazioni, più o meno corrette, che ci bombardano da ogni device e ogni social network nel secolo digitale. Nonostante viviamo nel paese che ha dato i natali a Galileo e Leonardo e che è stato al cuore dell'Età Moderna, da cui si è diramato l'Illuminismo, la scienza nel 2020 fa ancora fatica a imporsi a vantaggio di un misto tra fake news, polemiche e naturali paure. E a fronte di nuovi nemici che si affacciano improvvisamente e inaspettatamente nella società globale».