Quando si era ragazzi l'uso della parolaccia era una sorta di prova del fuoco per sdoganarsi verso l'età adulta. Per altro questo avveniva in rottura con i propri genitori, che ovviamente ci tenevano ad un linguaggio "pulito" dei propri figli.
Crescendo ci si accorge di come "modus in rebus" sia del tutto vero e, se qualche parolaccia può scappare, specie ad uso comico o come imprecazione di fronte ad un imprevisto, un suo abuso diventa maleducato e ingiustificato.
Eppure sembra che oggi l'uso di parolacce e di espressioni forti e persino offensive faccia parte dell'armamentario di certo populismo, quello che - usando un francesismo imparentato con questa parola - ammicca verso il "populace", cioè una parte di popolazione culturalmente bassa che apprezza il politico che si mette al suo stesso livello con un uso rozzo del linguaggio.
Questo non vale solo più per l'oratoria da comizio, quando si arringa una folla, ma si trasferisce nell'uso dei "social", visto che oggi chi ha responsabilità di governo finisce per avere staff - roba da matti! - che non lavorano nell'alveo della comunicazione istituzionale, come sarebbe corretto fare, ma montano delle macchine per il consenso in cui usano toni aggressivi e spregiudicati perché questi "sfondano" e fanno parlare di te.
Un meccanismo perverso da "Circo Barnum", che rischia di avvelenare i rapporti umani e sociali e non è dunque solo una questione di bon ton...