Non ero mai stato a Lourdes, uno dei centri più importanti o forse il più importante del culto mariano nel mondo (cinque milioni di pellegrini ogni anno), cresciuto a partire dalla famosa prima apparizione del 1858 alla veggente di umili origini Bernadette Soubirous, cui si dovrebbero le celebri cinque profezie, sulle quali si è sprecato molto inchiostro.
Ne avevo letto fin da ragazzo - non ricordo bene dove - attraverso il racconto di un celebre chirurgo, Alexis Carrel, da laico diventato devoto, dopo aver certificato dei miracoli. Poi, visto che tutto va relativizzato, sulla testa di Carrel gravarono gravi accuse di collaborazionismo coi nazisti. Negli studi mi aveva poi incuriosito come la Madonna sia stata uno degli argomenti più divisori con il mondo protestante (la critica riguardava la superstizione, il sentimentalismo e le esagerazioni nel culto).
Ci sono temi forse troppo ricorrenti in questo mio scrivere, eppure non può che essere così, quando mi rendo conto che ci sono argomenti che pesano sul mondo che verrà. Mi capita talvolta, ma non vi è nulla di dolente anzi è una cosa che scalda il mio cuore, di pensare a come sarà la vita dei miei tre figli e dei miei nipoti quando nasceranno e poi ancora dopo di loro. E, pur sperando di poter vivere un certo cammino per vedere come andranno le cose, so che da un certo periodo in poi bisogna vivere di immaginazioni. Anche se in certi casi può aiutare quella parte scientifica della futurologia, che non è la fantascienza, anche se poi molti scrittori di questo genere letterario ci hanno preso!
Credo che sia sempre stato così: sarebbe sprecare la nostra esistenza se la la tarassimo solo su di noi. Mi ha sempre fatto impressione questa logica del mondo contadino - anche da parte di chi ha un'età ormai veneranda - di mettere a dimora delle piante che si sa saranno godute da altri.
Sarà strano per un montanaro, ma mi sono sempre piaciuti i fari marini. Quello della mia infanzia era una costruzione ottocentesca (1882 ad essere esatti) situata sul molo di Porto Maurizio di Imperia. Una costruzione bianca, che serviva anche come riferimento per noi bambini, che partivamo dalla vicina spiaggia sabbiosa per fare i tuffi da alcune rocce strapiombanti. Fare i tuffi per divertimento - lo annoto en passant - è una delle cose divertenti della vita.
Ho avuto la fortuna negli anni di vederne parecchi in diverse posizioni, conscio del loro ruolo importante per la navigazione.
La rivoluzione digitale ogni tanto mi dà il capogiro. Guardavo le caratteristiche di questo nuovo "iPhone X" - erede del primo modello che mi legò al melafonino (anche se la "telefonia" è oggi una delle tante funzioni) dieci anni fa - e mi domando quanto questo concentrato di tecnologie sin dal suo esordio, meno eclatante degli attuali effetti speciali, abbia modificato le vite, i comportamenti, la socialità, facendo crescere nuovi usi e costumi e suonando la campana a morto per oggetti e abitudini pur radicati.
Negli ultimi dieci anni l'iPhone ha cambiato le nostre vite, anche se ormai scandalosamente caro, perché è stato il primo a definire - facendo da lepre - come la connettività e il mondo Web sarebbero stati un nuovo spazio di amplificazione dei sensi umani e della nostra intelligenza. Il "New York Times" ha realizzato un video dove evidenzia con garbo quanto lo smartphone di Cupertino abbia seppellito.
Era da tempo che avevo la curiosità di visitare Andorra e non solo per mettere una bandierina in più di un Paese visitato sul mappamondo. Ma anche perché, per un evidente interesse politico, quando si discute della grandezza delle Nazioni senza Stato in Europa, cioè di entità che rivendicano a vario titolo una forma di indipendenza ed anche in Valle ci sono stati filoni di questo genere e ce ne sono ancora oggi, si tira sempre in ballo la taglia come una delle ragioni che impedirebbero che fosse da considerarsi accettabile, quando ci sia appunto sostengono i detrattori - un'evidente piccolezza.
Così con l'auto, da Perpignan, la più catalana delle città francesi, mi sono letteralmente arrampicato lungo una strada piuttosto infame e minacciata da grandi frane sino allo staterello pirenaico, che vanta un'altimetria media inferiore alla Valle d'Aosta, ma che comunque è rimarcabile: 1.996 metri (la cima più alta, la Coma Pedrosa, svetta sino a 2.942 metri).
La ripresa post estiva sconta ancora una certa lentezza nella ripartenza, anche se talvolta cova il fuoco sotto la cenere. Ma c'è da prevedere che l'autunno porterà, come sempre, elementi che renderanno assai dinamica la situazione in Valle e, in più, l'approssimarsi dei due appuntamenti elettorali - politiche e regionali - renderanno il clima ancora più particolare, temo al calor bianco su qualche punto.
So che è sempre difficile scrivere di politica, perché per farlo con serenità ci vorrebbero due condizioni.
La prima è che ci sia chiarezza nel mondo della politica, in ossequio ai grandi discorsi sulla trasparenza e la partecipazione, mentre anche nella piccola Valle d'Aosta c'è troppa nebbia che avvolge lo scenario è questo crea preoccupazione perché un conto è una necessaria riservatezza in passaggi decisivi, un conto è profittarne per rendere oscuri i disegni.
Nei giorni scorsi ho attraversato la Francia in auto: un migliaio di chilometri per andare e altrettanti per tornare. Utile punto di osservazione per riflettere su alcuni aspetti, che mostrano come - in questa nostra società avanzata e tecnologicamente sempre più mirabolante - ci fermiamo alla fine su aspetti che sanno di antico e soprattutto di irrisolto.
Mi riferisco a tre questioni trasportistiche che mi hanno colpito, essendomene tra l'altro occupato quando ho avuto delle responsabilità in materia e, con il senno di poi, mi colpisce come certi temi - che finiscono per avere davvero una dimensione continentale - o non si sa bene quale indirizzo abbiano preso oppure l'impressione più genuina è che ci si trovi al momento fermi al palo.
Per fortuna la Politica non è solo un elemento impersonale ma cammina sulle gambe delle persone che ci credono. Le idee non vivono fra le nuvole ma sono trasfuse nei progetti e nelle proposte, che hanno per fortuna personalità che sanno dare quel tocco in più che fa la differenza, specie quando sanno lasciare la loro testimonianza per chi verrà.
Per "Mouv'", che ha scelto di diventare soggetto politico e non solo più d'opinione con un nuovo Statuto che verrà presto, c'è stato, fra chi ha dato il suo apporto a questo cammino, Claudio Brédy, morto prematuramente per un incidente in montagna. Il suo è stato un percorso nel mondo autonomista maturo e consapevole, di cui non bisognerà perdere la traccia, in una Valle d'Aosta spesso smemorata nel ricordo dei suoi figli migliori.
Così l'ho ricordato ieri a Gignod, contento della presenza dei suoi familiari e di tante persone che lo ammiravano e anche di chi ha scelto "Mouv'" come scommessa per il futuro.
Lo scriveva Claudio quando diceva di sperare «in una stagione di rinascita economica, sociale e culturale che solo attraverso la partecipazione, il confronto, le idee e la rappresentanza potrà prendere corpo».
Ci sono storie in giro di questi tempi talmente orribili e minacciose che quando si creano inutili situazioni di crisi - che volgono al peggio - mi indigno e mi preoccupo. Specie quando, appunto, se ne dovrebbe fare a meno, agendo sul buonsenso contro la stupidità. Non capisco di conseguenza perché la Spagna giochi con la pazienza dei catalani, buttando sul piano giudiziario - che sia la propria Corte Costituzionale o la giustizia penale - un problema che ha anzitutto un aspetto politico, poi giuridico.
L'aspetto politico è chiaro: la Spagna non è la Catalogna, che ha dimostrato due cose. La prima è la crescente fierezza di Barcellona - risultati elettorali alla mano - della propria diversità e la considerazione che il regime autonomistico non è più sufficiente.
Si potrebbe parlare di "destini incrociati", avvenuti in vite parallele che mai si sono toccate in incontri avvenuti di persona o con una corrispondenza epistolare. Eppure c'erano tutti gli elementi, affinché ciò potesse avvenire, ma non avvenne e certo il Destino ci mise lo zampino.
Mi riferisco a due personalità del federalismo novecentesco di generazioni diverse e con una differente durata delle loro vite: il valdostano Émile Chanoux (1906-1944), ucciso a 38 anni, ed il sardo Emilio Lussu (1890-1975), vissuto sino a 85 anni. Due esponenti eminenti, oggetto di studio e di divulgazione di loro scritti essenziali in un bel libro edito di recente da "Le Château", scritto - sempre in questa logica in parallelo - dal valdostano Roberto Louvin e dal sardo Gianmario Demuro, coetanei perché nati nel 1960, entrambi professori universitari di materie giuridiche, che hanno avuto esperienze politiche. Nel caso di Louvin la Presidenza della Regione e del Consiglio Valle.
Il mese di giugno resta il mio preferito. Sarà perché indelebilmente legato alla fine della scuola e dunque a quella sorta di liberazione di cui, da studenti, si è in qualche modo inconsci per quegli spazi di libertà grazie ad estati non ripetibili da adulti per la loro impagabile durata.
Ma, per fortuna, la nostalgia funziona solo se opportunamente alimentata dalla vita corrente. Per cui giugno, per chi fa politica, è un momento salutare per mettere fuori il naso dagli uffici per evitare che si trasformino nella pericolosa “turris eburnea”.
Cesare Marchi così ne evoca origini e significato: “Còllum tùum sìcut tùrris ebùrnea, il tuo collo è come una torre d'avorio, dice alla bella Sulamita il Cantico dei cantici, attribuito a Salomone (VII, 5). S'ispirò a questo versetto Modigliani per i suoi famosi colli? Torre d'avorio è anche un attributo della Madonna nelle litanie lauretane. Nell'uso corrente indica il volontario e talora sdegnoso isolamento in cui si rinchiudono esponenti della scienza, dell'arte, della cultura, evitando i contatti con la realtà esterna, per meglio dedicarsi allo studio e alla creazione”.
In politica “torre d’avorio” ha il pessimo significato di chi si chiude a riccio e perde il contatto con la realtà e, in fondo, con i cittadini.
Quanto di peggio possa capitare.