March 2017

Il "mio" fiume indiano

Un ponte sul fiume 'Kaveri'In mezzo a tante storie da raccontare, capita di trovarne anche qualcuna bizzarra, che in questo caso mi riguarda personalmente. Ricordo quando avevo una morosa di Champoluc, che aveva a sua volta una zia maestra, che un giorno, facendomi vedere il "piccolo Larousse", mi disse trionfante che c'era un fiume in India che si chiamava "Caveri" come me. Avevo trovato il descrittivo di questo "Kaveri" (si può scrivere anche così), che era più o meno il seguente: "Fleuve de l'Inde; 764 km. Né dans les Ghats occidentaux, il gagne le golfe du Bengale après avoir franchi les Ghats orientaux".
Negli anni poi mi sono divertito con la fantasia, non approfondendo affatto, la curiosa combinazione. Mi veniva da pensare - anche se ovviamente si trattava di un'elucubrazione infondata, direi salgariana - che magari ci fosse un qualche collegamento con quel cartografo di cui avevo scoperto l'esistenza ancora prima di Internet in maniera casuale.

La francophonie? Un vaste pays, sans frontières

I documenti in francese del Sous-Préfet Paul CaveriNon cadrò mai nel solito giochino riguardante il francese, che spesso si sente sull'argomento. Quando talvolta in Valle d’Aosta si dice «Francese!», qualcuno obietta in automatico benaltrismo «Meglio l’inglese!». Oppure, altro scenario, «Ma non lo parla più nessuno» e dunque si segnala in sostanza - come se fosse fruttuosa - una visione dell'evoluzione storica in Valle d'Aosta che ha avuto una ricaduta linguistica.
Di recente ho ritrovato due manifesti, ovviamente in lingua francese, firmati - siamo poco dopo l'Unità d'Italia - dal mio bisnonno Paolo "Paul" Caveri, allora Sous-Préfet di Aosta. Ancora in quell'epoca il bilinguismo valdostano ruotava attorno al francoprovenzale, con i suoi diversi patois rimasti tali in assenza di un progetto di normalizzazione linguistica, cioè un accordo su di una lingua standard e naturalmente c'era il francese come lingua solidamente instaurata nei rapporti ufficiali di livello istituzionale ed anche nella Chiesa locale.

Dal Trattato di Roma alla crisi valdostana

La bandiera europea fuori da Palazzo regionale, durante il Consiglio VallePur con tutte le palesi contraddizioni e le gravi difficoltà di un'Unione europea in profonda crisi a causa di un modello che è risultato deludente rispetto alle speranze di una politica forte e autorevole, il 25 marzo 2017 ricorreranno i sessant'anni della firma dei "Trattati di Roma", considerati come uno dei momenti storici più significativi del processo di integrazione europea. Potrebbe essere - e questo si augura un federalista come me - che sia un'occasione per nulla stucchevole per ripartire e di certo non un passaggio verso un mesto e pericoloso de profundis. Per altro mi vengono i brividi a pensare - come una cupa immagine del tempi attuali - che sabato prossimo nella Capitale ci saranno da una parte la manifestazione pacifica per ricordare l'anniversario e dall'altra una contromanifestazione di anti-europeisti, compresa quella galassia antagonista che profitterà dell'occasione per mettere a ferro e fuoco la città. Facciamo gli scongiuri, sperando che il giorno di festa non si trasformi in tragedia.

La primavera, alle 11.29

Una suggestiva immagine dell'equinozio di primaveraOggi ho messo sul mio telefono una suoneria di allerta adatta per segnalare l'attimo, scelta appositamente perché chiassosa e piena di allegria. Voglio pensare di poter cogliere così - scuserete la palese ingenuità - il momento fugace in cui arriverà l'equinozio di primavera 2017, calcolato da noi esattamente per le 11.29 del mattino, in un giorno in cui le ore di luce e di buio dovrebbero essere perfettamente identiche.
Mi piacciono questi ritmi impalpabili, se non per esperti che sappiano dei calcoli astronomici, di cui cogliamo dunque solo un vago senso di un pianeta che torna da sempre sui suoi passi e si sa bene come questa prima stagione abbia finito per essere - e non a caso - qualcosa di più. "Primavera" è parola che viene usata anche in politica, quando si voglia definire il momento iniziale della storia di uno Stato o di una comunità, caratterizzato da forte entusiasmo e tensione ideale: una sorta di momento nascente pieno di energie.

Non spegnere il federalismo

Matteo Renzi quando era a Palazzo ChigiIl federalismo è stato per molto tempo una marca del dibattito politico valdostano dal secolo scorso a quello attuale e ciò è avvenuto per una serie di elementi particolari che hanno fatto da lievito. In soldoni la vicinanza con la Svizzera, l'impronta culturale dell'ambiente federalista torinese, la capacità locale di contatti con esponenti del federalismo personalista. Tutto per rispondere ad una speranza di autogoverno.
Io stesso ne ho spesso scritto nel solco di questa impronta che aveva caratteristiche singolari, che ho riportato - quando necessario - laddove mi capitava di dover intervenire, comprese le Assemblee parlamentari di cui ho fatto parte, che sono poi state cinque: Camera dei deputati, Parlamento europeo, Consiglio d'Europa, Consiglio Valle e "Comitato delle Regioni".

Dai boatos alla realtà

In Politica da sempre c'è - in un crescendo rossiniano figlio dei tempi - l'incognita dell'incidenza della Magistratura. Il caso italiano è significativo, pensando al solito esempio: il passaggio dalla Prima Repubblica alla sedicente Seconda Repubblica non è avvenuto per mano di un cambiamento costituzionale importante, tale da modificare la numerazione, ma dalle inchieste assai incidenti dell'epoca di "Tangentopoli".
Nel nostro piccolo della Valle d'Aosta, pensando proprio alle vicende politiche che portarono Augusto Rollandin ad essere un giovane presidente della Regione, ci fu invece l'"Affaire Casinò" all'inizio degli anni Ottanta, che pareva in realtà chissà cosa per poi sgonfiarsi sino all'ultimo grado di giudizio.
Ma intanto aveva agito con evidenti discontinuità.

Se trionfa il grand-guignol

Un'istantanea della trasmissione 'Parliamone sabato', chiusa dopo le polemicheE' divertente per clamore e assieme triste per la realtà come, di tanto in tanto, si scopra che la Televisione (ma anche media tradizionali come la Radio o nuovi come quelli nella galassia Web) assume sempre più forme di spettacolarizzazione fuori dalle righe e dal buonsenso comune. Ultimo caso la scelta giusta dei vertici "Rai" di chiudere una trasmissione di intrattenimento, che si era infilata in definizioni delle donne provenienti dall'Est Europa intrise di luoghi comuni offensivi e sessisti, degni di un incidente diplomatico.
Mi sfugge dell'insieme di tutto questo fenomeno di degrado una definizione esatta: mi verrebbe da dire - per provare una sintesi, che però è forse incompleta - "gusto dell'orrido".

Sui migranti la politica arranca

Un barcone di migranti in arrivoUn piccolo prologo in riferimento ai terribili avvenimenti di Londra, svoltisi davanti ad un Parlamento antico e simbolico per lo Stato di Diritto e la sua nascita, che mostrano come la linea dura contro gli islamisti - negatori di nostri valori fondanti - dev'essere la regola e non l'eccezione.
Oggi volevo parlare dei migranti, tema assai scottante per la sua incidenza politica, che bisogna affrontare con realismo, senza mai dimenticare i lati tragici e certe commoventi vicende personali. Certo le celebrazioni del "Trattato di Roma", già venate da mille problemi che rendono sempre più instabile il processo di integrazione europea (la "Brexit" del Regno Unito, in lutto per quanto scrivevo in premessa, è stato un clamoroso passo indietro), dovranno fare i conti con questo grosso problema ben presente.

Giornalisti di ieri e di oggi

La classica scopa di sagginaAppena uno si distrae, gli anni passano e ti ritrovi da giovane di belle speranze a attempato osservatore di un mondo che cambia e talvolta appare in netto contrasto con alcune certezze nel tempo intoccabili.
Ormai mi avvicino pericolosamente ai quarant'anni di attività giornalistica, anzi - se penso alle prime esperienze in erba - quel traguardo l'ho già superato. Spiace constatare come il lavoro del giornalista si sia lentamente e inevitabilmente precarizzato. Una volta esisteva - ed io l'ho vissuto, per mia fortuna - una porta d'ingresso principale: la strada per diventare "professionista" era stretta ma non impossibile a favore dell'articolo 1, cioè "praticantato" e successivo esame di Stato.

Ponti

Il ponte di Pondel, ad AymavillesNon sono un buonista e sono allergico a tutte le manifestazioni ipocrite che spesso si fanno con l'ausilio degli ideologismi. Vedo troppo spesso delle persone pie, avvinte dalle loro convinzioni religiose, e poi nella quotidianità - scusate l'espressione forte - sono delle carogne. Idem chi, di ben diverso colore, si appella a valori come la solidarietà in una logica laica, ma poi si vede quanto predichi bene e razzoli male.
Per cui - in tutta franchezza e per la mia formazione culturale variegata - spero che si possa credere nella mia personale sincerità se oggi voglio parlare dei ponti. Papa Francesco, solo per ricordare uno dei più illustri che ne ha parlato, dall'alto del suo Apostolato - ma con i modi spicci dei gesuiti - ha detto e ripetuto in altre occasioni: «Dove c'è un muro c'è chiusura di cuore: servono ponti, non muri». In quell'occasione si riferiva proprio ad un muro assurto a simbolo, quel muro di Berlino, caduto il 9 novembre 1989, ed era stato un elemento fisico della divisione ideologica dell'Europa.

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