February 2017

Un suicidio di cui parlare

I funerali di 'Gio'Sono giorni che volevo scriverne, perché il fatto di cronaca mi ha molto impressionato ed addolorato, avendo due figli poco più grandi che per fortuna hanno già attraversato gli anni più delicati dell'adolescenza, ma poi non trovavo le parole giuste. Oggi ce la faccio. E parto da chi sui fatti ha il coraggio di fare autocritica in un mondo nel quale in troppi, pur di non assumersi le loro responsabilità, si arrampicano sugli specchi.
«Potendo tornare indietro, avrei rifatto quel blitz? Umanamente, dico di no. Col senno di poi immaginerei sicuramente un intervento diverso, con un supporto psicologico presente in casa. Penserei a una soluzione alternativa, ci sto ragionando tutti i giorni. Conoscendo l’esito tragico di quel servizio, adesso dico che era meglio non farlo», sono le valutazioni del Generale Renzo Nisi, Comandante provinciale della Guardia di finanza di Genova, che quella perquisizione l'ha gestita.

Il giornalismo da decano

Passano gli anni, si susseguono le stagioni e ogni tanto legittimamente faccio il punto della situazione e la cosa più importante resta per me il mio lavoro vero, quello del giornalista.
Anche se la Politica è un diavoletto che mi punzecchia sempre con il suo forcone e proprio in questo periodo vivo il piacere, con "Mouv'", di un momento nascente. Per altro entrambe le mie passioni le ho sempre vissute in un felice bipolarismo professionale. Oggi di conseguenza mi sento un decano per tutte e due e sono ancora ben distante da certe magari auspicate - da altri che rosicano - rottamazioni.
Comunque sia, il giornalismo l'ho sempre tenuto vivo anche quando ero politico a tempo pieno. Certo ho avuto la chance di aver vissuto pagine bianche anche assai originali, come l'impagabile effervescenza della stagione delle Radio e delle Televisioni private, stagione che avrebbe fatto maturare anche un somaro.

Le responsabilità sul Casinò che affonda

Vivien Leigh nel ruolo Rossella O'HaraCi vorrebbe la penna brillante di un Alexandre Dumas per raccontare la triste discesa agli inferi del "Casino de la Vallée" di Saint-Vincent, oggi malato terminale per via dell'insipienza e dell'ormai accertata responsabilità (Toh! Proprio la parola forte "responsabilité" usata ieri al Congresso dell'Union Valdôtaine...) di chi diceva di occuparsene con piglio risolutore. Invece, di danno in danno, questo è diventato il bubbone più purulento, sintomo del fallimento di certa politica arrogante ma mediocre nel persistente - musica per le orecchie per chi ne è suddito - «faso tuto mi».

Sindrome di Stoccolma o di Brusson?

Francesco Gabbani al 'Festival di Sanremo'E' un modo di dire che ha ormai superato l'ambito scientifico: penso infatti che tutti più o meno sappiano cosa sia la "Sindrome di Stoccolma". La definizione nasce da un fatto di cronaca verificatosi in Svezia il 23 agosto del 1973. La mattina di quel giorno, infatti, due rapinatori entrarono in una Banca di Stoccolma e presero in ostaggio quattro impiegati per cinque giorni. Furono momenti di grande tensione, in cui, mentre la Polizia trattava il rilascio, gli ostaggi e i due malviventi instaurarono un rapporto affettivo sino al punto da familiarizzare moltissimo. Il sentimento d'affetto divenne tale che, alla conclusione della strana vicenda, gli impiegati sequestrati andarono più volte in carcere a far visita ai sequestratori. Una di loro si spinse sino al divorzio dal proprio marito per sposarsi con uno dei due malviventi.

I tabù della Storia

Arno KompatscherNon devono esistere tabù nella lettura della Storia passata. Se non altro per buonsenso, visto quanto osservava giustamente Miguel de Cervantes: «La storia è madre della verità, emula del tempo, depositaria delle azioni, testimone del passato, esempio e annuncio del presente, avvertimento per il futuro».
Per dire ecco tre casi riguardanti la Valle d'Aosta in cui va bene essere espliciti: chi esalta i tre "Régiments des Socques" in Valle d’Aosta (1799, 1801 e 1853) non può non rilevare che dietro certe insorgenze contadine ("socques" sono gli zoccoli ai piedi) esistevano elementi conservatori e retrivi; oppure non è insultare Emile Chanoux se si segnala la scarsa qualità e stridori di certe sue produzioni letterarie; neppure è lesa maestà segnalare - come ha fatto - Angelo D'Orsi, professore torinese - certe aderenze accademiche con il mondo fascista di Federico Chabod.

Castelli in aria, di sabbia, di carta, di rabbia e di pietra

Una spettacolare scultura di sabbiaGli stati d'animo si presentano al mattino sul nostro uscio di casa ed è inutile scacciarli, perché sono lì a dare il "la" al resto della nostra giornata. Questo capita anche a chi, come me, cerca di prendere le cose sempre con il verso giusto e, se possibile, con il sorriso.
Stamattina mi sento piuttosto riflessivo e vorrei partire con una frase di Kahlil Gibran che per chi vive sulle Alpi è come un viatico: «Se desideri vedere le valli, sali sulla cima della montagna. Se vuoi vedere la cima della montagna, sollevati fin sopra la nuvola. Ma se cerchi di capire la nuvola, chiudi gli occhi e pensa».

Costantino, uno dei "Signori del vino"

La copertina del libro di Marcello Masi e Rocco TolfaQuando il grande Mario Soldati, nei libri "Vino al vino", viaggiò attraverso l'Italia della vigne, giungendo in Valle d'Aosta usò - ciò avvenne più di cinquant'anni fa - una citazione di Pio XII: «L'umile fede nel mistero dei misteri a cui il frutto della vigna è così strettamente legato». Chissà che non gliela avesse ispirata questa citazione illustre quell'Abbé Alexandre Bougeat, che lo scrittore torinese descrisse come «l'unico a produrre ancora l'autentico vino bianco e secco di Morgex». Ma il filo del suo ragionamento più generale era il seguente: «Il vino è come la poesia, che si gusta meglio, e che si capisce davvero, soltanto quando si studia la vita, le altre opere, il carattere del poeta, quando si entra in confidenza con l'ambiente dove è nato, con la sua educazione, con il suo mondo. La nobiltà del vino è proprio questa: che non è mai un soggetto staccato ed astratto, che possa essere giudicato bevendo un bicchiere, o due o tre, di una bottiglia che viene da un luogo dove non siamo mai stati».

L'emigrazione e l'astronave

Il confronto tra il sistema solare e quello di 'Trappist-1'Delle volte viene voglia di dirsi: «prendo tutto e me ne vado». Nel senso di scegliere un posto - a me piacerebbe ad esempio il Québec, ma non disprezzerei neppure qualcosa di caraibico - e di aprire una pagina nuova. Poi, spento rapidamente il fuoco passionale, torna la razionalità ed anche i legami affettivi, culturali, politici e lavorativi che mi legano alla mia comunità di appartenenza.
Chiunque abbia avuto modo di leggere qualcosa o di parlare direttamente con testimoni-protagonisti dell'emigrazione valdostana del passato, scopre ora quanto fosse condita dalla necessità di spostarsi perché obbligati, che fosse la miseria ma anche - negli anni del Fascismo - il dissenso verso il regime. Questa diaspora valdostana nel mondo - lo vediamo dalle lettere e persino dalle canzoni - era intrisa di nostalgia e di tristezza per il Paese natale abbandonato e molti sono rientrati dopo l'esperienza, altri invece hanno coltivato stando via per sempre i ricordi sino alla morte, riuscendo talvolta a tramandare la fierezza delle loro origini anche alle generazioni successive.

Se il calcio mi vuole oscurare Pellegrino

Non sia considerata un provocazione e neppure un atteggiamento supponente, ma credo davvero che si possa vivere senza il Calcio. Lo scrivo sulla base di una certa indignazione dopo la bella vittoria - riscatto contro i gufi che lo aspettavano al varco - del fondista valdostano Federico Pellegrino, diventato campione del mondo nello sprint a tecnica libera a Lahti, in Finlandia, con un arrivo mozzafiato per lui che si sforzava e per noi in poltrona a seguire gli ultimi metri con il batticuore.
Il giovane di Nus, con la morosa walser che lo ha fatto trasferire nella Valle del Lys e lo ha inquadrato anche come atleta, è un ragazzo simpatico, che ho conosciuto in un'intervista radio quest'estate.
I campioni veri si vedono dalla loro stoffa umana e lui si avverte subito che è una persona a posto, con la testa sul collo e una bella vita familiare, dotato di quella grinta che differenzia lo sportivo travet da chi sa guardare al podio.

Tu, Lei e Voi

Tu>C'è una progressiva evoluzione del costume linguistico, che ci coinvolge tutti, perché - a meno che non si viva come eremiti fuori dal mondo - la comunicazione verbale ed il forte ritorno quella scritta, attraverso i "social" nelle loro varie evoluzioni, implicano una socialità. Tutti quelli della mia generazione hanno vissuto il passaggio, sempre più forte dal "Lei" al "Tu" e si nota, come fanno ormai i propri bambini a scuola con molti insegnanti, ma anche come veniamo apostrofati ormai correntemente dappertutto, come "darsi del tu" non venga più richiesto ma imposto unilateralmente. A me capita - sono anacronistico - di chiedere ancora: «ci possiamo dare del tu», favorito ormai dall'età.

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