Capisco come il Natale nei suoi molteplici elementi, che ne fondano la ragion d'essere di data che troneggia nella nostra vita alla fine di ogni anno, abbia mille punti di osservazione possibili e ognuno guarda non solo a quel che gli interessa, ma pure la stessa cosa cambia a seconda della nostra personale sensibilità. Credo di avere detto molte volte quanto mi faccia venire il latte ai gomiti certa retorica buonista fatta di buoni sentimenti che dovrebbero fare da maquillage anche a chi, prima e dopo, resta un pezzo di carogna e non c'è perdono in terra e quel che capita in Cielo è ben più grande di me.
Certo ogni simbolo del Natale ha una sua storia, che sia il Presepe, l'albero di Natale, le palline di vetro che lo ornano e le luci colorate, così le piante che ne sono diventate simbolo.
Pure Babbo Natale ha un suo percorso e persino il 25 dicembre nasce da una scelta arbitraria, che fissa la storia della natalità di Gesù in quella Betlemme che ha ormai un pugno di cristiano in un Paese islamizzato.
Le musiche natalizie sono come una serie di rivoli che confluiscono in un gigantesco fiume, in cui si sommano stili, sonorità, personaggi, vecchio e nuovo. Ci sono in questa festività, che non ha buttato nulla dei riti precristiani che si affollano attorno al solstizio d'inverno, novità che spuntano nei secoli e diventano tradizioni.
Lo stesso vale per lo scambio di doni, che incombe come un rito pieno di calore, per chi ci crede e non cede al gesto meccanico e agli obblighi sociali. Ci sono dentro civiltà che si incrociano, contaminazioni, segni di fede e esagerazioni consumistiche.