Gli anni purtroppo passano e il solo vantaggio è che questo consente di vedere, per chi se ne occupò alla Camera e poi in altri ruoli, come certe questioni si siano affermate e risolte. E il tempo trascorso consente di verificare se certe cose si siano sviluppate come si pensava che dovesse avvenire oppure no. La tecnica del feedback, cioè di vedere come abbia agito in concreto la legislazione è abbastanza rara nel nostro ordinamento, mentre sarebbe una buona pratica.
Sono ormai più di vent'anni - era esattamente il 1993 - che esiste l'elezione diretta del sindaco in Italia. Il sistema, avendo quello stesso anno ottenuto la Valle d'Aosta competenza esclusiva sull'ordinamento degli Enti locali (scelta preziosa che ci ha tenuto al riparo da tante follie statali), venne esteso anche da noi su decisione del Consiglio Valle, che di recente ha poi differenziato il sistema, confermando nei Comuni medi e grandi il sistema di elezione diretta.
La logica della scelta del primo cittadino da parte dei cittadini rispondeva all'esigenza di maggior stabilità contro le tante crisi politiche e autorevolezza perché l'elezione diretta offre una forza evidente nel poter governare.
Per anni si è fatta retorica sulla bontà della scelta, alimentando una corrente di pensiero sul "partito dei Sindaci" in una logica pluralista, segnalando la capacità di azione concreta dei sindaci stessi, assurti a nuovo soggetto politico.
Matteo Renzi ci ha giocato molto su questa concretezza rispetto alla palude parlamentare. E lo ha fatto anche in funzione anti-regionalista, e oggi maramaldeggia sul suo ruolo a Palazzo Chigi di sindaco d'Italia.